Nel complesso intreccio criminale degli ultimi anni, una delle forze più sottovalutate è stata quella della mala albanese. Gli episodi di microcriminalità sono un ricordo sbiadito, quelli delle bande che si organizzavano in Italia dopo gli sbarchi degli anni 90, per fame e antichi rituali molto simili alla criminalità del sud Italia. Il racconto di quegli episodi serve sporadicamente alla propaganda che descrive lo straniero come brutto, sporco e cattivo. Il crimine albanese negli anni si è invece evoluto, sedendosi al tavolo con le mafie italiane. I clan albanesi in un primo momento hanno fatto da manovalanza ai grandi traffici per poi imporsi come realtà in grado di creare connessioni intercontinentali. Il punto di partenza per i clan albanesi è stata la tratta di giovani donne, schiave del mercato del sesso. “I narcos albanesi”, il documentario prodotto da Videa Next Station, in onda sabato 24 settembre, in prima serata su Nove, comincerà la sua cronologia criminale dalla voce proprio di una donna che è stata prima vittima e poi ribelle di un sistema criminale feroce.
Giovani donne, dagli angoli più disparati dell’Albania, venivano vendute, grazie alla corruzione di agenti di frontiera e connivenze in Italia. La tratta e lo sfruttamento della prostituzione su tutto il territorio italiano è servito ai clan albanesi per dimostrare alla malavita italiana quanto potevano essere affidabili, violenti e intransigenti con i traditori. La conoscenza del mare, delle frontiere e degli scafi è stato poi il secondo step. La marjuana, quella che serviva alle piazze di spaccio italiane. I trafficanti albanesi in Patria riciclavano e in Italia portavano erba a quintalate. Le rapine degli anni novanta non interessavano più al clan degli albanesi, che si fanno conoscere come clan strutturati, non in maniera verticistica, ma orizzontale, grazie ad una rete fittissima di affiliati.
Le evasioni dalle carceri europee dei loro grandi boss diventano cronaca esaltante, che alimentano l’epica di cui ogni criminalità necessita. L’ostentazione dei soldi a Londra, Milano, Rotterdam è molla per giovanissimi pronti ad arruolarsi. La diaspora albanese criminale, che si infiltra tra i tantissimi albanesi che cercano solo fortuna e vita dignitosa in Europa, è numerosa in tutto il mondo e nessuno tradisce. In “Narcos albanesi” c’è la possibilità di ascoltare la testimonianza del primo pentito della mala degli albanesi.
Ci sono poi tantissime vittime, adescate per lavori che si rivelano grigi, in piazze di spaccio violente. In Albania restano famiglie in lutto, per regolamenti di conto inspiegabili, come la storia che il documentario racconta partendo da una famiglia in un angolo remoto dell’Albania, che finisce nel sangue di una mazza da baseball a Mantova.
I soldi col contrabbando i boss albanesi li sanno fare benissimo. Sanno anche reinventarsi, di nuovo, con la cocaina questa volta, dall’altra parte del mondo. Il loro know how criminale resta il mare e la capacità di infiltrarsi nei porti per i traffici. Paesi Bassi, Grecia, Italia ed Ecuador. In Latino America c’è l’ultima tappa, in Ecuador appunto, nella zona di Guajaquil, dove la guerra tra narcotrafficanti conta numeri impressionanti. Conquistare il porto di Guayaquil è fondamentale, per la coca purissima che arriva dalla Colombia. Gli albanesi conquistano quella zona a suon di mattanze e corruzione nelle carceri. “Narcos albanesi” arriva fino in Ecuador, per mettere assieme tutti i volti di questa incredibile ascesa criminale.
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Il documentario fa parte della serie “Mafia connection” ideata da Carmen Vogani e condotta da Nello Trocchia. La serie si compone di quattro episodi, per quattro sabato sera in prime time su Nove. Il primo episodio è proprio sulla mala degli albanesi, sabato 21.25 su Nove.