Il 30 ottobre la sfida decisiva tra Lula e Bolsonaro. Ecco cosa deve offrire in campo economico il capo del Partido dos Trabalhadores per respingere la potente offensiva della destra e dei predicatori evangelici

Una giornata particolare. Il 2 ottobre gli elettori brasiliani non si sono recati alle urne solo per la scelta del presidente della Repubblica, ma anche di un terzo del Senato (composto da 81 senatori) e per il rinnovo della Camera dei deputati. Oltre ai parlamentari e senatori che si insedieranno a Brasília, i brasiliani sono stati chiamati a scegliere nuovi governatori e giunte regionali.
Con il 48% delle preferenze, il candidato alla presidenza Luís Inácio Lula da Silva è partito in vantaggio verso il ballottaggio del 30 ottobre prossimo rispetto a Jair Bolsonaro, fermatosi al 43%. La coalizione di centrosinistra soprannominata “Brasil da Esperança” comprende oltre al Partido dos Trabalhadores, il Partido Comunista do Brasil e i Verdi, mentre la coalizione guidata da Jair Bolsonaro raduna tre partiti di centrodestra, il Partido Republicano, fondato da Edir Macedo, a capo della formazione religiosa neopentecostale “Igreja Universal do Reino de Deus”, il Partido Liberal e il Partido Progressista.

Il discorso di Luiz Inacio Lula da Silva dopo la chiusura delle urne. San Paolo del Brasile, 2 ottobre 2022

Trainato da Bolsonaro, che ne ha preso la tessera soltanto il 30 novembre 2021, nel corso della “Giornata dell’Evangelico” (giorno festivo decretato dal governo Dilma Rousseff nel 2010) il Partido Liberal è passato da 43 deputati nel 2018 a 99 in queste elezioni, diventando il partito più votato del Paese.
Subito dopo, alla Camera, segue la coalizione di centrosinistra guidata da Lula. Con 80 parlamentari eletti essa potrà contare sul sostegno di partiti sinistra come Psol e Rede Sustentabilidade, aggregati a quelli degli sconfitti alle presidenziali Simone Tebet (Mdb) e Ciro Gomes (Pdt), totalizzando 139 parlamentari contro i 187 della coalizione di Bolsonaro.
Alla Camera sono stati eletti ulteriori 145 deputati appartenenti a svariate aree politiche che non fanno capo né a Lula né a Bolsonaro e vanno dal centro all’estrema destra, rendendo il percorso di Lula – in caso di vittoria ai ballottaggi – una corsa in salita per quanto concerne la governabilità del Paese. Ogni forza politica vorrà la sua parte.

Alcuni risultati storici vanno però menzionati in questo scenario politicamente complesso. Per quanto riguarda la rappresentatività delle minoranze storicamente oppresse, la Camera può contare oggi su tre deputate indigene. Oltre a Joênia Wapichana (Rede Sustentabilidade), dopo undici anni lontana dal Parlamento, rientra l’ambientalista Marina Silva, fondatrice della Rede. Si uniscono a loro nella lotta per i diritti dei popoli indigeni e l’ambiente Sonia Guajajara e Célia Xakriabá del Psol, partito fondato dall’ex senatrice del Partido dos Trabalhadores, Heloísa Helena.

Ideatore del Movimento dei Lavoratori Senza Tetto, Guilherme Boulos (Psol), risulta il deputato più votato dello Stato di San Paolo con oltre un milione di preferenze. Eduardo Bolsonaro, primogenito del presidente e proclamato nel 2018 «il deputato più votato della Storia», stavolta ha dovuto accontentarsi di un amaro terzo posto.
Per l’estrema destra brasiliana Eduardo Bolsonaro non è una figura di poco conto. Da Steve Bannon ricevette l’incarico di rappresentare in Sudamerica The Movement che, fino al suo ingresso nel 2019, era una coalizione interamente europea di partiti politici di destra nata per sostenere il nazionalismo populista e respingere l’influenza del globalismo.
Anche se The Movement non è mai decollato, Eduardo Bolsonaro è entrato a far parte dei circoli della destra mondiale, essendo frequentemente invitato agli eventi dei conservatori in giro per il mondo. Assieme a Marie Le Pen e Viktor Orbán, è stato tra i primi politici a congratularsi con Fratelli d’Italia per la vittoria alle elezioni del 25 settembre scorso, condividendo sui suoi canali social una foto di Meloni con la didascalia «la premier dell’Italia è Dio, Patria e famiglia».

Anche se Jair Bolsonaro dovesse perdere le elezioni di quest’anno, il bolsonarismo ha già vinto. Ciò spiega l’ingresso alla Camera dell’ex ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, responsabile di minacce agli attivisti per l’ambiente, ai dipendenti della Fondazione Nazionale per l’Indio (Funai) e ai questori che svolgono indagini su crimini ambientali, incrociandole con le sue connivenze, omissioni e tangenti ricevute dall’industria del legname che è nota in tutto il mondo per questa frase: «È necessario approfittare della pandemia per far passare la mandria in Amazzonia». Ovvero, va tolto ogni controllo dello Stato in materia di protezione ambientale, affinché l’industria mineraria, del legname e l’agribusiness distruggano il polmone del mondo.

Chiara la vittoria di Bolsonaro nelle regioni più ricche del Sud, del Centro e Sudovest, dominate da latifondisti bianchi o da oligarchie industriali e gruppi finanziari.
Sebbene tra il 2020 e il 2021 il Pantanal, uno dei biomi più umidi del pianeta, sia stato colpito da una raffica di incendi che ne devastarono il 35% del territorio, i cittadini del Mato Grosso do Sul non sono diventati ambientalisti. Hanno scelto ancora una volta il centrodestra alla Camera e al Senato, e Bolsonaro alla presidenza. Anche la senatrice di centrodestra Simone Tebet, ex alleata di Bolsonaro ed appartenente a un’influente famiglia latifondista della regione ha raccolto i frutti dell’elettorato che dall’agribusiness ne dipende, piazzandosi al terzo posto alle presidenziali.

Al Senato lo scenario si presenta altrettanto complesso per Lula, essendo la maggioranza degli eletti appartenenti all’estrema destra o al centrodestra. Colpisce l’elezione di ex ministri di Bolsonaro come Marcos Pontes, difensore di medicinali senza efficacia contro il Covid-19, la pastora misogina Damares Alves e Tereza Cristina, rimasta conosciuta come “lady veleno” dopo aver legalizzato ogni pesticida e agrotossico. Premiati con una poltrona da senatore anche il pastore omofobo e misogino Magno Malta, l’ex vice presidente e generale dell’esercito Hamilton Mourão e l’ex giudice Sérgio Moro, responsabile della condanna e prigione illegale di Lula nel 2018. Oltre al dilemma della governabilità, Lula dovrà convincere milioni di potenziali elettori di votarlo al secondo turno delle presidenziali senza avere alle spalle un piano economico atto a contrastare il fascino perverso dell’agribusiness su buona parte della popolazione, che vede questo settore come l’unico motore capace di portare il paese allo sviluppo, oltre alla fede in dio. Ha poche settimane per tracciarlo, diffonderlo e difenderlo come alternativa migliore alla devastazione dell’ambiente.

Le regioni del centro del Brasile sono l’esempio lampante di una importante faglia comunicativa nella campagna elettorale del centrosinistra. Lusingati da costanti lodi e visite, e premiati con titoli di proprietà da Bolsonaro e “lady Veleno”, migliaia di invasori di terre indigene hanno visto regolarizzare la loro condizione in cambio di voti: da proprietari terrieri abusivi sono diventati “cittadini per bene” disposti a difendere “le loro proprietà” dagli attacchi dei “selvaggi”, cioè, i nativi Kaiowá-Guarani o Xavanti che le avevano in usufrutto dallo Stato. La scelta era ovvia a tutti: hanno eletto governatori di estrema destra e latifondisti al primo turno, nonché deputati e senatori di centrodestra.
Il progetto di Bolsonaro di rendere l’Amazzonia simile al Mato Grosso e Mato Grosso do Sul in materia di “produttività”, lo ha portato ad osannare nel corso dei suoi anni di governo due regioni trasformate in pascoli e lunghe distese di soia e mais.

Lo stile di vita texano, importato dagli Stati Uniti oltre mezzo secolo fa nel cuore del Brasile, oggi detta non solo l’abbigliamento e la religione in queste zone. La musica country o gospel trasmessa dalle radio a tutta potenza, essendo l’unica che il presidente afferma di ascoltare, è stata adottata dall’estrema destra brasiliana come elemento distintivo, per la gioia degli artisti del settore, pronti a tessere lodi all’operato dei politici bolsonaristi e attacchi alla cosiddetta “cultura di sinistra” che impediva loro di farsi conoscere nel resto del Paese. La cucina “tex-mex”, inoltre, ha sostituito la brasiliana. La passione per le armi e il disprezzo dell’ambiente chiudono il quadro, rendendo tali territori più aridi del deserto dell’Arizona per la sinistra, ogniqualvolta si avvicina a mani vuote e senza proposte concrete per bucare la bolla bolsonarista.

 

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Intervista di Ivanilde Carvalho alla candidata Juliana Cardoso