Cesare Damiano, Rosy Bindi, ma non soltanto lei, sostiene che il Pd vada sciolto. Ha ragione?
Dalle ultime elezioni del 25 settembre sono arrivati dall’elettorato alcuni messaggi alla politica molto chiari, il primo dei quali è che la maggioranza dei votanti ha scelto di votare la destra di Giorgia Meloni, penalizzando sia Forza Italia che la Lega, anche se la somma dei voti è la stessa delle politiche del 2018, mentre cresce il dato relativo all’astensionismo. Il secondo messaggio arrivato alle urne riguarda noi del Pd: l’elettorato ha mostrato di non amare il Pd, questo Pd. Chi ci ha votato, più del 19% dei votanti, come ha spiegato bene Alessandra Ghisleri, lo ha fatto poco convintamente o “turandosi il naso”. È evidente che qualcosa nel profondo va cambiato perché il progetto iniziale del Partito democratico ha fallito la sua missione.
La strada indicata dal segretario dimissionario Enrico Letta, del congresso di rinascita la convince?
A patto che si ricostruisca tutto dalla fondamenta: lo Statuto va cancellato, è una formula farraginosa, che anziché fungere da propellente per la auspicata fusione tra cattolicesimo sociale e socialismo democratico, ha volutamente imbalsamato le diverse culture per il timore che l’una prevalesse sull’altra consumando, peraltro, un segretario dopo l’altro, pensando ogni volta che la soluzione fosse sostituire un nome con un altro. E mi lasci aggiungere: basta con le primarie aperte alle truppe cammellate e ai voti comprati con due euro che consentono ad altri, anche dichiaratamente di destra, di scegliere i nostri amministratori e i nostri segretari. Ridiamo potere agli iscritti e iniziamo ad avere il coraggio di scelte nette.
Scelte nette, Letta ha impostato la campagna elettorale proprio indicando la parola “scegli”, ma non ha funzionato. O meglio, gli italiani hanno scelto la destra.
Letta è arrivato un anno e mezzo fa e ha cercato di tenere insieme un partito dilaniato dal correntismo. Si è andati al voto all’improvviso e in piena estate. Non mi piace e non è nel mio stile indicare un colpevole: se le cose non sono andate bene siamo tutti colpevoli visto che ogni decisione è stata presa collegialmente in Direzione. Il problema è più profondo, abbiamo smesso di ascoltare le istanze che arrivano dalle fasce sociali più fragili, siamo stati affetti dal “governismo” e non abbiamo mai affrontato il tema che era sul tavolo dall’inizio, dalla nascita del Pd: l’identità che vogliamo darci. Siamo un partito senza anima e questo gli elettori lo hanno capito. Dove vogliamo guardare? Siamo un partito progressista? Se la risposta è sì allora assumiamo fino in fondo un profilo progressista, calato nel nostro tempo, che sappia dare una visione sulle grandi questioni che attraversano la società: transizione ecologica, occupazione giovanile, riforma del mercato del lavoro, welfare. La pandemia e la guerra dichiarata da Putin all’Ucraina stanno avendo conseguenze su tutta Europa: siamo di fronte alla più grave crisi economica, politica ed energetica dal secondo dopo guerra. C’è bisogno di un progetto radicale che sappia dare risposte ad un mondo nuovo che corre veloce e che richiede una politica densa di contenuti e non di parole.
Matteo Renzi sostiene che il Pd è morto ed è pronto a coprire dal centro lo spazio che si apre, Giuseppe Conte sostiene la stessa cosa ma si posiziona a sinistra.
Matteo Renzi passa il suo tempo a sparlare del Pd, una vera e propria ossessione: il suo partito e quello di Calenda insieme hanno raccolto il 7,8% dei consensi. Come si permettono di dire a noi cosa dobbiamo fare e quale segretario dobbiamo scegliere? Ancora oggi il Pd sconta i gravi errori commessi durante la sua segreteria, a partire dal Jobs act che non Cesare Damiano ma la Corte Costituzionale ha più volte dichiarato illegittimo in diverse parti. Se non ricordo male aveva annunciato le sue dimissioni dalla politica quando portò il Pd al 18% e invece è ancora qui a dare lezioni di politica a tutti. Quanto a Giuseppe Conte, che da avvocato del popolo si è autolegittimato a leader progressista, gli ricordo che il M5s ha perso 6,5 milioni di voti rispetto al 2018. Quindi il mio invito a tutti è ad abbassare i toni, fare un bel bagno di umiltà e concentrarsi sul futuro: in Parlamento sarà necessaria una opposizione ferma e intransigente che soltanto se si guarda all’interesse del Paese e non a quello di bottega si può concretizzare. Il Pd affronterà il congresso, spero lo faccia cambiando forma e sostanza come ho già detto. Ma resta il secondo partito, il primo di opposizione, che quando discute non lo fa nel chiuso di una stanza.
Già dal giorno dopo le elezioni sono fioccate le candidature per la successione di Letta. Stefano Bonaccini è pronto, come Elly Schlein. E poi ci sono Matteo Ricci, Paola De Micheli…
Una scena poco edificante, la stessa a cui si è assistito troppe volte. Capisco chi chiede tempi non troppo lunghi per il congresso, ma se vogliamo davvero avviare una nuova fase costituente occorre serietà, non autolesionismo. Torniamo a guardare fuori dal palazzo, ascoltiamo, le leadership non si costruiscono a tavolino mettendo insieme il pacchetto di voti più consistente tra correnti.
Con chi si dovrebbe alleare il Pd?
Se non capisci chi sei tu e in quale direzione vuoi andare non puoi scegliere il compagno di viaggio. Ma di certo non si va da nessuna parte con i veti. In questi giorni leggo le dichiarazioni di Calenda che dice “o con me o con i 5stelle”, sento Conte che ribatte “con questa dirigenza Pd nessun dialogo”… Penso che il Pd non debba cadere in questo gioco al massacro. Se non si ristabiliscono regole di rispetto reciproco non se ne esce. La campagna elettorale è finita. Se davvero si vuole costruire una coalizione in grado di sconfiggere la destra bisogna costruire un fronte coeso con un progetto alternativo e chiaro. Abbiamo di fronte mesi durissimi a causa della crisi energetica, gli equilibri geopolitici del mondo stanno cambiando. Le famiglie non riescono a pagare le bollette, a curarsi, i giovani se ne vanno all’estero perché qui non riescono a immaginare un futuro professionale dignitoso: di fronte a questo scenario c’è bisogno di una politica che torni a svolgere il suo ruolo. C’è bisogno di competenze, professionalità e, aggiungo, senso del dovere.