Una diffida alle scuole che adottano la carriera alias – cioè la procedura che a scuola permette agli studenti transgender di indicare un nome differente rispetto all’identità anagrafica. Ha pensato bene di presentarla Provita & Famiglia che ha anche chiesto un intervento urgente al ministro dell’Istruzione Valditara per mettere fine a quello che l’associazione cattolica definisce un «incontrollato abuso giuridico».
La carriera alias, come sottolinea l’associazione GenderLens, è parte di un insieme di azioni volte a sostenere le persone transgender nel loro primario contesto sociale e di apprendimento, la scuola. Si tratta di un dispositivo ampiamente adottato da scuole e università di molti Paesi – inclusa l’Italia – ed è considerato una buona prassi di inclusione e supporto sociale.
Concretamente, la carriera alias consiste nel permettere alle e agli studenti che ne fanno richiesta, in accordo con la famiglia, di comparire sul registro elettronico e sui documenti scolastici con il nome e con i pronomi di elezione. Non si tratta di, o non dovrebbe costituire un adempimento soltanto amministrativo. Alla carriera alias, infatti, si affianca l’impegno della scuola in pratiche di accoglienza dell’identità e del percorso personale di ogni studente.
Per esempio, in questo percorso la scuola permette di adottare abbigliamento ed espressione di sé coerenti con il genere con cui le persone si identificano, i docenti e la classe usano nella quotidianità il nome e i pronomi congruenti, l’istituto consente l’uso di bagni e spogliatoi in cui sia possibile per ciascunə sentirsi al sicuro e a proprio agio a fronte di una condizione che mette seriamente a rischio il benessere a scuola, che espone a situazioni di bullismo e discriminazione – come rilevato anche in Italia da una ricerca internazionale – ed è connessa con un elevato rischio di frequenza scolastica discontinua, esclusione e abbandono.
Per Provita, il no alla carriera alias è invece un «atto di civiltà» per «proteggere gli studenti, soprattutto se minorenni, dai rischi che corrono nel consolidare una auto-percezione soggettiva spesso temporanea, che può portare ad assumere farmaci ormonali per il blocco dello sviluppo sessuale o addirittura operazioni chirurgiche». In realtà, la carriera alias è del tutto indipendente dagli interventi medici, dall’assunzione di farmaci e dalla chirurgia e lavora invece, insieme alle famiglie, per la possibilità di una transizione sociale adeguata al percorso di crescita specifico di ogni studente.
Il problema, quindi, per chi vuole “proteggere” gli studenti, sembra essere quello di dare peso e credito all’esperienza di coloro che fin dalla giovane età si identificano in un sesso diverso da quello di nascita, esperienza derubricata come “auto-percezione soggettiva” e quindi non degna di essere presa seriamente dal mondo adulto. In realtà, questa esperienza ha un impatto drammaticamente concreto sulle vite delle persone e questo è noto da tempo in ambito psicologico, medico, educativo. L’edizione 2021 del Trevor Project, indagine sulla salute mentale dei giovani Lgbtq negli USA, ha rilevato che il 52% dei giovani transgender e non binari ha seriamente considerato il suicidio nel corso dell’anno precedente, e che oltre il 70% dei giovani transgender ha avuto esperienza di disturbi di ansia generalizzata e depressione maggiore.
Altri studi hanno messo in evidenza la maggiore incidenza di abbandono scolastico o discontinuità della frequenza, connessa con il profondo malessere sperimentato in contesti scolastici, nelle relazioni con i pari e con gli insegnanti. Eppure ci sono delle vie di uscita da questo quadro inquietante: il lavoro di Olson e colleghi pubblicato sulla rivista Pediatrics nel 2016 ha preso in esame per la prima volta un gruppo di bambinə transgender tra i 3 e i 12 anni che hanno fatto la transizione sociale e che godono di supporto familiare e sociale nella loro identità di genere. Esaminando in particolare i livelli di ansia e depressione di questo gruppo e comparandoli con il dato della popolazione della stessa età con disforia di genere a cui il contesto sociale chiede di vivere secondo il sesso assegnato alla nascita, emerge che coloro che hanno fatto la transizione sociale e sono sostenuti nella loro identità manifestano fenomeni di ansia e depressione in un’incidenza inferiore, più vicina a quella della popolazione generale di pari età. Questi e altri risultati di ricerche scientifiche sono molto importanti perché ci dicono che la sofferenza psicologica non è una componente inevitabile del percorso di crescita di questə giovani, e che a fare la differenza è proprio l’ambiente di supporto che hanno intorno a sé, fatto di famiglia, comunità scolastica, gruppo dei pari.
Per questo la carriera alias si colloca entro una visione molto chiara del ruolo della scuola nella promozione dell’uguaglianza e delle possibilità di partecipare attivamente alla società, a fronte di posizioni che invece vorrebbero le diversità non fossero nominate, riconosciute e supportate nei luoghi dell’educazione.
La carriera alias dà a bambinə, adolescenti e alle loro famiglie il messaggio che la scuola è con loro e li sostiene lì dove sono, senza forzature; che il loro è un processo che fa parte di un cammino di crescita e non segna aprioristicamente nessun destino, e che la ricerca di sé trova uno spazio rispettoso e accogliente nell’istituzione educativa.
Si tratta di un’azione che ha un impatto non solo sui singoli ma sull’ecologia complessiva del contesto educativo. La carriera alias, e in generale un approccio improntato al riconoscimento, è un gesto per i genitori, che non vengono confinati nell’angoscia di gestire un’etichetta di “anormalità” o patologia dei loro figli e possono sapere di lasciarli in mani sicure quando sono a scuola; è per ragazze e ragazzi, che non devono spiegare continuamente al mondo chi sono. Si tratta anche di un messaggio che parla ai compagni di classe e alle loro famiglie, rendendo evidente che quella scuola agisce concretamente per favorire i percorsi di crescita rendendosi un luogo abitabile per le diversità – tutte le diversità, non solo per studenti transgender ma anche studenti che vivono vite complesse, persone con disabilità, per chi è arrivato da un diverso Paese di origine e parla un’altra lingua.
Inoltre, è un gesto di cura per il personale docente e non docente della scuola, che non viene lasciato in balia della buona volontà individuale ma fa riferimento a un corpus di conoscenze scientifiche, strumenti e una chiara linea di azione educativa. Infine, la carriera alias è per la società, a cui la scuola – al tempo stesso fucina e specchio della democrazia come ricordava già nel secolo scorso John Dewey – può insegnare come funziona una comunità plurale. La diversità di genere, come le altre diversità, esiste. Non è detto che tutte le diversità dell’identità di genere vadano trattate su un piano medico, ma è necessario che siano le nostre società e le istituzioni educative i primi luoghi in cui fare spazio per la loro esistenza e anche per i loro cammini, che non sono sempre lineari.
Forse, però, in un tempo in cui la scuola è intesa come luogo di competizione per il merito, è proprio un’idea di scuola come comunità formativa democratica a costituire un problema per chi si dichiara “pro vita”.
*L’autrice: Chiara Sità è docente di Pedagogia all’Università di Verona