Entrando al museo storico della Shoah a Yad Vashem (Gerusalemme), la prima sezione che ci si para davanti è dedicata alla vita del mondo ebraico prima della seconda guerra mondiale, inoltre sempre a Yad Vashem possiamo trovare la valle delle comunità dedicata appunto a tutte le comunità ebraiche che furono colpite dalla Shoah. Oggi molto spesso quando si sente parlare di Shoah non sentiamo mai parlare della vita e della cultura ebraica prima di essa. Nel film Il respiro di Shlomo invece emerge la vita di Shlomo Venezia, prima dell’Olocausto, nella comunità ebraica di Salonicco, in Grecia, dove risiedevano sua madre i suoi fratelli e le sue sorelle. Il film di Ruggero Gabbai è stato trasmesso in anteprima al Teatro dell’opera di Roma ed è qui che abbiamo incontrato il regista. Ecco cosa ci ha raccontato.
Ruggero Gabbai quanto è importante raccontare la sua vita prima della Shoah, ed in generale raccontare la vita prima dell’Olocausto, che spesso viene tralasciata, non solo nel racconto al grande pubblico ma anche nelle scuole?
Comincerei col dire che questo film in particolare ci fa conoscere le camere a gas e lo sterminio di massa nella testimonianza importantissima di Shlomo Venezia. Lo sterminio nazista comportò l’annientamento di interi gruppi familiari, uccisi barbaramente. Perlopiù nessuno può più ricordarli dicendo di aver perso i membri della sua famiglia nelle camere a gas, perché interi nuclei familiari sono morti tutti appena sono arrivati ad Auschwitz-Birkenau. Per questo è tanto più importante la testimonianza di sopravvissuti come la senatrice a vita Liliana Segre e Pietro Terraccina quando raccontano cosa videro e come lasciarono la mano dei propri genitori. Nedo Fiano nel film Memoria ricorda tutta la sua famiglia facendo otto nomi sulla rampa di Birkenau. E qui vengo alla sua domanda, alla luce di tutto questo per me era importante far capire in questo film, Il respiro di Shlomo, che queste persone avevano una vita, degli affetti, delle passioni, degli amori ed erano inseriti all’interno di un contesto sociale/culturale, ma quella cultura fu spazzata via dalla furia nazifascista. Furono spezzate vite umane ma anche un’intera cultura, un modo di essere e di pensare, ed in questo modo capiamo quanto l’umanità abbia perso perché queste persone non ebbero l’opportunità di dare il loro contributo per migliorare il mondo. In particolare la comunità ebraica di Salonicco era una di quelle più importanti e numerose del Mediterraneo, composta da tanti pensatori e lavoratori che costruirono il porto della città. A Salonicco non vi era niente che non avesse avuto a che fare con la comunità ebraica. Questa comunità è stata annientata al 95%, anche se non mi piace parlare tanto di numeri perché come abbiamo visto dietro ogni singola persona vi era una storia, una vita, una famiglia e dei sogni.
La testimonianza di Shlomo Venezia, come Sonderkommando, è particolarmente importante per capire l’Olocausto, come lei ha accennato, perché ci porta dietro le quinte della Shoah. Può spiegarci meglio?
Shlomo è un testimone fondamentale per capire la macchina della morte, poiché lui è entrato dentro le camere a gas, ha visto quelli che entravano prima di lui poi ha dovuto ripulirle dai cadaveri per poi bruciarli. Il suo compito specifico era quello di tagliare i capelli ai cadaveri, però nel film dice che spesso si davano il cambio con altri gruppi del Sonderkommando e quindi spesso era lui a ripulire le camere a gas dai cadaveri per poi bruciarli nei forni crematori. Una testimonianza come la sua, visto che sono sopravvissuti pochissimi Sonderkommando alla furia nazista perché erano depositari del segreto dell’eccidio più efferato della storia del XX secolo forse della storia dell’umanità, è fondamentale soprattutto nei confronti dei negazionisti e di chi banalizza la Shoah. Lui racconta solo quello a cui ha assistito e visto ed ha visto l’indicibile. Oltre ad intervistarlo ho avuto il privilegio di conoscerlo come amico e come essere umano.
L’obbiettivo dei nazisti, tra gli altri, era quello di disumanizzare e annullare le vittime, in particolare con i Sonderkommando era quello di renderli inaccettabili a se stessi facendoli quasi sembrare partecipi dei nazisti, anche se ovviamente non era vero. Può raccontarci un episodio di Shlomo che l’ha particolarmente colpita?
Shlomo nel film dice che magari la gente da fuori poteva pensare che fossero partecipi, ma non c’era niente di più falso, perché i nazisti non volevano ripulire le camere a gas e bruciare i corpi quindi usavano la manodopera schiava e chi si rifiutava veniva subito ucciso. Tra i tanti episodi che racconta mi ha colpito molto quello di un bambino. Un episodio molto drammatico, perché alla fine della gasazione quando entrano nelle camere a gas lui e i suoi compagni sentono un gemito provenire da un angolo, questo gemito continua così si avvicinano e trovano un bambino rimasto al seno della madre ancora vivo. Loro sono costretti a portarlo al cospetto dei nazisti che chiaramente spezzarono la vita di questo neonato in maniera crudele come se fosse un pezzo immateriale, come se fosse nulla. Nel film questo è uno dei racconti più toccanti. E il giornalista e scrittore Roberto Olla commentandola racconta come Shlomo ci abbia messo tanti anni prima di raccontare questa storia sia per la sua crudezza sia perché pensava che nessuno gli avrebbe creduto.
Dopo la guerra però, nonostante tutte le violenze che aveva visto e subito, Shlomo sceglie la vita e si fa una famiglia, grazie all’affetto delle persone vicine decide di testimoniare e di trasmettere la sua forza e il testimone a molti altri. Sia i familiari che altre persone sono state intervistate nel film, per raccontare quanto fosse importante la figura di Shlomo. Come avete scelto queste persone?
Chi sopravvive alla Shoah non lascia mai veramente dal punto di vista psicologico il campo di detenzione, però Shlomo incontra Marika una donna eccezionale, ebrea di origine ungherese e sceglie la vita. Per noi era importante nel film far vedere questa continuità, quindi che Mario Venezia, il figlio più grande e presidente di Fondazione museo della Shoah-Roma, testimoniasse in una sorta di dialogo padre-figlio struggente e doloroso, al fine di far vedere che la vita è andata avanti e che i nazisti non sono riusciti a distruggere l’umanità di Shlomo, che poi ha portato la sua testimonianza anche nelle scuole. Una scelta di rispetto verso quello che aveva subìto dando un senso a tutto, per spiegarci che questi regimi possono tornare e l’antisemitismo, il negazionismo e il razzismo sono ancora vivi, basta vedere quanto successo in Ruanda e in Kosovo con i genocidi.
Girando questo film, come gli altri che hai realizzato sulla Memoria, possiamo dire che ha fatto “didattica” della Shoah?
Io non sono un insegnante ma un regista però penso che bisogna fare le cose nel modo giusto costruendo un film con una narrazione che possa coinvolgere ragazzi, adulti, gente colta e meno colta. La cosa importante è mettere sempre al centro l’essere umano.
Quando andrà in onda il film?
Verrà trasmesso su Rai 1 in seconda serata il 27 gennaio, poi sarà sempre disponibile su Raiplay.
“Scrittore italiano di origine ebraica (Salonicco 1923 – Roma 2012), sopravvissuto alla Shoah. Arrestato con alcuni membri della famiglia e deportato nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau l’11 aprile del 1944, durante la prigionia venne costretto a lavorare nelle unità speciali denominate Sonderkommandos. Tra le mansioni a cui fu assegnato vi erano quelle della rimozione dei cadaveri dalle camere a gas e del loro incenerimento, del taglio dei capelli, dell’estrazione dei denti d’oro, dell’asportazione di abiti e oggetti personali dai corpi delle vittime. Prigioniero per sette mesi a Birkenau, poi per altri cinque a Mauthausen, dopo la liberazione divenne uno dei principali testimoni della tragedia dell’Olocausto, che descrisse con lucidità e profondo senso storico in trasmissioni televisive, in conferenze e nei principali eventi commemorativi dello sterminio ebraico. Grande protagonista dei viaggi della Memoria, trasse dalla sua esperienza il testo Sonderkommando Auschwitz (2007), tradotto in 24 lingue (fonte Treccani).
L’autore: Andrea Vitello è specializzato in didattica della Shoah e graduato a Yad Vashem. Ha scritto il libro, con la prefazione di Moni Ovadia, intitolato Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca, (Le Lettere 2022). Scrive su Pressenza e su Left