Il 12 maggio 1977 fu assassinata Giorgiana Masi, giovane militante radicale. In un libro ricco di inediti documenti Andrea Maori (archivista, collaboratore di Radio Radicale e curatore dell’archivio Bordin) ricostruisce quella drammatica vicenda. Si intitola significativamente “12 maggio 1977, la morte di Giorgiana Masi pallottole e menzogne di Stato” (Reality book), ve ne proponiamo un estratto:
I fatti: La richiesta di abrogazione della legge “Reale” venne fatta propria dai radicali all’interno di un pacchetto referendario di otto quesiti la cui raccolta delle firme fu avviata proprio nella primavera del 1977. Per i comitati promotori dei referendum bisognava dare una svolta nella raccolta delle sottoscrizioni dei cittadini in un momento in cui la campagna non stava andando particolarmente bene per le difficili condizioni di agibilità politica che in quel momento si vivevano in Italia. In alcuni casi la raccolta delle firme fu vietata: a seguito di una denuncia dei deputati radicali al ministro Cossiga, fu segnalato che la Questura di Nuoro aveva vietato una manifestazione radicale sui referendum “adducendo pericolo infiltrazioni provocatorie”, mentre a Venezia i radicali polemizzarono, insieme ai rappresentanti del Movimento lavoratori per il socialismo, dentro il Palazzo di giustizia di Venezia, per la decisione del presidente della Corte d’appello di vietare in luoghi aperti la raccolta delle firme per i referendum abrogativi. Ad una delegazione dei comitati promotori il presidente della Corte d’appello comunicò che la disposizione era stata emanata direttamente dal ministero di Grazia e Giustizia. In questo clima di incertezza, fu convocata dal Partito radicale una manifestazione a piazza Navona il 12 maggio con lo slogan “Per un nuovo 13 maggio, per una nuova vittoria popolare”, in occasione dell’anniversario della vittoria al referendum sul divorzio del 12-13 maggio 1974. Per i promotori l’iniziativa costituiva l’occasione di dare un segnale per il ripristino della legalità costituzionale e per il rispetto dei più elementari diritti civili dei cittadini. La manifestazione del 12 maggio non fu autorizzata a seguito dell’ordinanza prefettizia emessa il 22 aprile. Nonostante il divieto, i promotori ne confermarono la convocazione per denunciare il restringimento degli spazi di libertà di riunione e il pesante clima repressivo, favorito da un governo d’emergenza, cosiddetto della “non sfiducia”. Secondo gli organizzatori, la manifestazione sarebbe dovuta essere rigorosamente nonviolenta, costituendo altresì un’occasione importante per informare i cittadini sui referendum rispetto ai quali si stava per concludere una difficile raccolta di firme…Di fronte al continuo divieto del ministro dell’Interno, i radicali decisero, dopo una trattativa con i dirigenti della Questura, dopo aver parlato direttamente con il ministro Cossiga e averne dato conto con una conferenza stampa ed un comunicato, di rinunciare ad ogni caratterizzazione politica e annunciarono che ci sarebbe stata solo una festa musicale, senza comizi e interventi politici e la raccolta delle firme per i referendum. La costruzione del palco per il concerto iniziata il giorno prima, potè proseguire tranquillamente. Malgrado questo, il centro di Roma fu completamente militarizzato e molti cittadini vennero caricati, respinti, picchiati. Le attrezzature di piazza Navona, luogo tradizionale delle manifestazioni radicali in quel periodo, vennero smontate a forza e gli organizzatori vennero portati via di peso. Alcuni fotografi e giornalisti vennero picchiati, anche selvaggiamente, Nel clima di quei giorni, di omologazione totale dell’informazione, molti fotoreporter si videro respingere il loro servizio dai giornali per i quali lavoravano abitualmente. Mentre nelle strade erano in corso gli scontri e i parlamentari radicali protestavano alla Camera contro le aggressioni e le violenze della polizia, impegnata anche in forme decisamente irregolari, avvenne l’uccisione di Giorgiana Masi e il ferimento ad una gamba di Elena Ascione: durante una carica le due ragazze furono raggiunte da proiettili sparati da ponte Garibaldi dove erano attestati poliziotti e carabinieri, mentre un terzo ragazzo – Francesco Lacanale – si vide trapassare i pantaloni da un proiettile.
La presenza delle forze dell’ordine sul ponte Garibaldi fu confermata nella prima requisitoria del procuratore della Repubblica Giorgio Santacroce che scrisse: «Giova ricordare che il 12 maggio 1977, fra le ore 19 e le ore 20,30, intervennero su ponte Garibaldi: a) 100 allievi sottoufficiali carabinieri del battaglione allievi sottoufficiali di Velletri, comandati dal capitano Iannece Giuseppe a disposizione del vice-questore I dirigente dott. Alagna Antonino; b) 30 guardie di P.s. del I raggruppamento celere a disposizione del vice-questore aggiunto dott. Vincenti Luigi; c) personale dell’ufficio politico della questura di Roma». L’Ascione così raccontò la sua testimonianza: “Arrivando in piazza Belli ho visto persone che stavano in piccoli gruppi e un grande schieramento di polizia che chiudeva da ponte Garibaldi verso piazza Sonnino. Non mi ricordo se erano carabinieri o poliziotti. Sul ponte c’era un’improvvisa barricata di macchine che mi sembrava solo difensiva. A un certo punto una parte della polizia si è mossa verso ponte Garibaldi. Non potendo attraversare mi sono mossa in direzione di piazza Sonnino ed è a questo punto che si sono sentiti colpi d’arma da fuoco provenienti esclusivamente dalla parte in cui stava la polizia. Non sono in grado di precisare se erano colpi di pistola o di mitra. Io mi sono messa a scappare e sono stata colpita subito, mentre ero con le spalle verso il ponte e restando colpita da sinistra. Non ero in grado di vedere altre persone che cadevano, però l’ora era più o meno le venti.”
Il contesto storico: Il 1977 fu caratterizzato da un’esplosione di massa dell’estremismo politico giovanile ma in un quadro di crisi delle organizzazioni extra-parlamentari. Gran parte di quella violenza diventa autonoma da quei movimenti e partiti e tuttavia si radicalizza e si moltiplica. Aumentano i casi di «espropri proletari» o di «riappropriazione di beni», come venivano autodefiniti. Lo scenario in cui si svolsero questi avvenimenti aveva come riferimento il terzo governo Andreotti detto di “solidarietà nazionale” per l’appoggio esterno del Partito comunista italiano (Pci), impegnato fortemente nella strategia del compromesso storico.
Insediatosi subito dopo le elezioni politiche del 1976, il governo Andreotti dimostrò subito la sua impopolarità malgrado l’ampia maggioranza parlamentare: tra i provvedimenti assunti fin dall’autunno del 1976, furono decisi consistenti aumenti di tariffe su beni e servizi. Nel contempo il quadro politico fu scosso da due episodi che coinvolsero alti rappresentanti dello Stato: lo scandalo Lockeed, con l’incriminazione degli ex ministri Mario Tanassi e Luigi Gui per corruzione e deferiti alla commissione inquirente e l’arresto di un questore, di un colonnello dei carabinieri e di un agente del servizio informazioni difesa (Sid) accusati di aver coperto cellule neofasciste implicate nella strage di piazza Fontana.
In questo contesto si stava consumando una crisi economica di largo respiro con il prolungamento della lunga e intensa durata dell’inflazione che, malgrado gli interventi governativi e della Banca d’Italia, non fu tenuta sotto controllo: nel 1977 il costo della vita aumentò mediamente del 18,11% mentre avanzavano precarietà e diffusione di nuove marginalità giovanili. L’università cominciò ad essere area di parcheggio di disoccupati intellettuali. L’esplosione della rivolta nel mondo universitario fu anche favorita da un piano di studi del ministro Franco Maria Malfatti che introdusse misure restrittive per piani di studio e appelli di esami.
Fu all’interno dell’università di Roma che si svolse uno degli episodi più spettacolari.
Il 17 febbraio 1977, in occasione di un comizio, il leader della Cgil Luciano Lama fu costretto ad abbandonare il palco prima della fine del suo discorso per gli scontri tra gli studenti di autonomia e gli addetti del servizio d’ordine. L’episodio fu ampliato dalla stampa e diede vita ad una nuova ondata di manifestazioni di piazza con inevitabili scontri, soprattutto a Roma e a Bologna. Da quel momento si moltiplicarono gli episodi di guerriglia urbana. Nel contempo però le assemblee studentesche erano affollatissime: l’obiettivo politico della contestazione era il sostegno del Pci al governo Andreotti e alla «politica dei sacrifici». Lo scontro si fece aspro: l’accusa ricorrente del Pci verso il nuovo movimento era quella di essere espressione di un nuovo squadrismo. Posizioni distanti che riflettevano anche diversità sociali e culturali perché la dirigenza politica del Paese appariva ostile e in grado di imporre solo sacrifici e compromessi. In questa fase di scontro sociale e politico, i divieti di manifestazione imposti dai prefetti ottennero l’effetto di favorire l’escalation della violenza. Nel 1977 il conflitto politico e sociale assunse quindi caratteri drammatici: ramificato in tutti i settori della società italiana, la risposta dello Stato e dei suoi apparati fu però una sua involuzione poliziesca, autoritaria, con una progressiva diminuzione delle libertà costituzionali ed un ampliamento della discrezionalità dell’azione delle forze di polizia: l’abuso del ricorso a reati associativi o di pericolo presunto costituì il presupposto per l’ampliamento di una normativa emergenziale sull’ordine pubblico che da allora, a fasi alterne, non si è mai interrotta.