Forse è proprio vero che la crisi è il motore più profondo per una vera risposta estetica. Questa riflessione non viene di certo compiuta per la prima volta adesso. Chi scrive è stato molti anni fa folgorato da una frase che gli disse Bruno Zevi «Saggio, la modernità è ciò che trasforma la crisi in valore e suscita una estetica di rottura e di cambiamento».
Da allora ho rivoluzionato il mio modo di pensare e di fare. Ho cercato sempre di partire da una crisi e quanto più acuta essa fosse, tanto meglio era.
Per esempio, ragioniamo sui nuovi strumenti informatici. Ebbene, questi strumenti non sono affatto “soluzione” o una “scorciatoia del fare”, ma l’esatto contrario. Sono delle sfide. Ci chiedono come il nostro operare debba modificarsi alla luce di queste nuove potenzialità. Come non possono non mutare con l’avvento di una potenzialità parametrica i parametri del nostro lavoro? Un progetto è pensato ormai come un insieme di variabili in costante mutazione che non solo determinano un nostro diverso modo di progettare dal punto di vista pratico ma devono portare a un esito molto diverso nell’aspetto e potenzialità delle nuove architetture rispetto al passato. Riflettiamo: la presenza della macchina ha determinato un processo progettuale radicalmente diverso dalla architettura rinascimentale e “allo stesso tempo” anche una costruzione basata sui nuovi concetti di trasparenza, di economicità, di funzionalità. Lo vediamo bene quando guardiamo alla città e all’architettura nata dalla rivoluzione industriale. Similmente, nella rivoluzione informatica non cambia solo il “modo” di progettare, ma deve cambiare l’essenza stessa dell’architettura che assorbe in sé quei caratteri parametrici, interattivi, mutabili. addirittura “intelligenti”, della informatica stessa.

Per esempio, il mondo della costrizione e delle carceri, il mondo dei rifiuti, il mondo delle crisi ambientali e idriche e, venendo a noi, il mondo dell’immigrazione e dei campi profughi. La storia illustrata di Fiamma Ficcadenti nasce esattamente in questo ambito. Fiamma ha realizzato un gran lavoro “scientifico” proprio nella sua dissertazione dottorale “Architettura dell’Impermanenza”, per capire non solo che cosa sia il mondo dei campi profughi nelle sue implicazioni sociali, politiche e umane, ma che è anche servito a delineare quali possono essere le idee nuove che urbanistica e architettura possono offrire esattamente affrontando queste crisi. Il processo di studio di queste nuove criticità allarga così il campo di azione della stessa disciplina architettonica. Che ora è in grado di offrire idee e soluzioni in questo campo, come similmente è avvenuto nel settore dei rifiuti, delle carceri o delle crisi idriche. La dissertazione dottorale di Fiamma da questo punto di vista è straordinaria ed è in pubblicazione in un libro con la casa editrice Quodlibet.


Il suo lavoro parla da sé e sono certo che chi lo legge ne sarà rapito: dalla forza del disegno, dall’acutezza della scrittura, dalla capacità di trasformare la crisi in valore e in una nuova estetica. Una estetica dura, anti-indulgente, anti-retorica e alla fine necessaria all’autrice, ma anche a far muovere il lettore nella direzione della vita e dell’amore.





