Francina Armengol, socialista, donna di partito, una femminista, una donna dalle convinzioni ferme e forti, un’idealista, come la descrivono i suoi compagni e le sue compagne, è stata eletta presidente del Congresso dei Deputati spagnolo per la XV legislatura, è la terza autorità dello Stato. Ex presidente delle Isole Baleari, l’arcipelago autonomo di fronte alla regione catalana, è riuscita a superare la maggioranza assoluta della Camera bassa con 178 voti direttamente al primo scrutinio. Un colpo di scena fortemente voluto dal Psoe di Pedro Sánchez e da Sumar di Yolanda Díaz, ma reso possibile solo grazie al voto delle forze nazionaliste o dichiaratamente indipendentiste, dai catalani ai baschi, passando per l’unico deputato galiziano.
Il quotidiano El País ha titolato: “Un inizio migliore del previsto”, “La maggioranza progressista mostra la sua forza all’inizio della legislatura”. Per la destra è stata una vera sconfitta. La candidata del Partito popolare, Cuca Gamarra, ha ottenuto solo 139 voti e non ha ricevuto l’appoggio di Vox. I 33 deputati del partito di Santiago Abascal hanno votato per un proprio candidato dopo che il Pp ha confermato che Vox non avrebbe avuto rappresentanza nell’Ufficio di presidenza.
Il Partito popolare è rimasto solo, pur essendo il partito più votato nelle elezioni non è stato in grado di di raggiungere gli accordi di cui si vantava. Il voto per la presidenza del Congresso non esprime certo la vittoria elettorale rivendicata da Alberto Feijóo, segretario del Pp, ma uno scenario dove l’unica maggioranza possibile è quella della coalizione progressista in accordo con i nazionalisti e i sostenitori dell’indipendenza. O questa maggioranza si consolida per l’investitura di Sánchez o si andrà a nuove elezioni.
Francina Armengol è l’espressione di questi accordi. Ha sempre difeso l’idea che un maggiore federalismo dovrebbe essere la via per risolvere i conflitti territoriali della Spagna, e proprio questa posizione l’ha portata a esprimersi pubblicamente contro l’applicazione dell’articolo 155 in Catalogna. Se c’è una cosa a cui Armengol è abituata, è stringere patti. Non ha mai potuto governare da sola, ma ha dovuto farlo con forze diverse come Podemos, un partito che nelle Baleari è sempre stato improntato a dinamiche stataliste, e i sovranisti di Més per Mallorca, che hanno costantemente chiesto un maggiore impegno nei confronti della lingua catalana e del territorio, e le hanno talvolta rimproverato la mancanza di forza su temi come la tutela dell’ambiente e il problema del sovraffollamento turistico.
La presidente Francina Armengol delinea una nuova legislatura improntata a rendere la Spagna più consapevole della sua pluralità di pensiero e identità. «Si tratta di aggiungere. Si tratta di praticare il dialogo. De hablar, falar, hitz egin, de parlar. E farlo per andare avanti. Perché la Spagna avanza sempre quando riconosce la sua pluralità e diversità. Perché la ricchezza di questo Paese sta nella sua pluralità. Perché la coesistenza di lingue e tradizioni diverse ci rende migliori. Questa è la vera Spagna, ed è migliore» ha dichiarato nel suo discorso di insediamento. Difendere la Spagna significa proteggere la sua diversità culturale, ha detto “parlare” non solo in castigliano, ma in galiziano, in basco e in catalano perché sono lingue spagnole tanto quanto il castigliano e da subito potranno essere usate nei dibattiti parlamentari. Un discorso impeccabile dalla pluralità più assoluta.
Certo l’investitura di Sánchez è ancora lontana e mantenere la Moncloa sarà complicato, ma non sembrano esserci altre opzioni. Feijóo non può governare, può contare solo su una seconda possibilità sotto forma di nuove elezioni. Si tratterebbe però di una scelta politica disperata che provocherebbe una ulteriore spaccatura del Paese, significherebbe che Sánchez è subalterno a chi vuole generare aspre tensioni sociali, con tutta la destra spagnola appiattita sulla linea di Vox, costretta a praticare una politica della paura e del ricatto.
Intanto gli indipendentisti iniziano a delineare le loro richieste in vista di una trattativa per votare Pedro Sánchez come presidente del governo.
“L’elezione di Francina Armengol a presidente del Congresso non garantisce in alcun modo l’investitura di Pedro Sánchez a presidente del governo spagnolo”. È questa l’idea più ripetuta nelle ultime ore dai leader catalani pro-indipendenza. Sia dalle parti di Junts che da quelle di Esquerra.
Erc pone la legge di amnistia, per le persone coinvolte nel caso del referendum sull’autodeterminazione dell’1 ottobre 2017, come “linea rossa” per l’investitura e Puigdemont, in fuga dalla giustizia in Belgio, si è espresso via Twitter. Ha assicurato che nessuno può dare per scontati i voti di Junts, perché sarebbe un errore pensare che il partito “sia tornato all’ovile”.
Se le cose si bloccano lì, il rischio di ripetere le elezioni è molto alto. Ma la possibilità di cercare il modo di trovare una possibile soluzione sembra esserci.
A destra Feijóo insiste a candidarsi per l’investitura, se riceverà l’incarico dal Re, ripete che le sue opzioni sono “intatte” nonostante i 178 voti che la sinistra ha ottenuto per Armengol, mentre Vox fa marcia indietro e offre la sua “mano tesa” al leader popolare. Ma alcuni dirigenti critici nei confronti della strategia e del discorso di Feijóo dicono “Stiamo vivendo una finzione”, secondo questa corrente interna non ha senso continuare a difendere la possibilità di ottenere un’investitura di successo perché i numeri non ci sono.
Dalla Zarzuela, la residenza privata del re di Spagna, arriva la notizia che la regina Letizia e la infanta Sofía andranno in Australia al Sydney football stadium per tifare la squadra spagnola di calcio femminile classificata nella finale del mondiale contro l’Inghilterra, mentre re Felipe VI resta nel Palazzo e prepara il giro di consultazioni per decidere a chi dare l’investitura (iniziate oggi ndr).
Nella foto Francina Armengol (Wikipedia) e Pedro Sánchez (Arne Müseler)