Fino al 17 settembre alla Pinacoteca Civica di Follonica, una antologica dell'artista che si è ispirato a Duchamp e Beuys

Pino Modica esordisce nei primi anni Ottanta del Novecento, lavorando con Salvatore Falci e Stefano Fontana all’interno del Gruppo 5, meglio noto come Gruppo di Piombino, dove il 5 sta a indicare i tre artisti iniziali + un ambiente + il pubblico operante in quell’ambiente (successivamente si uniranno Domenico Nardone in qualità di critico militante e Cesare Pietroiusti). La poetica del collettivo s’incentra su una ricerca di carattere sperimentale, vòlta a rilevare e verificare sul campo l’ipotesi utopistica propria delle avanguardie
artistiche, secondo cui la creatività è caratteristica intrinsecamente umana e non una prerogativa di chi si definisce artista, poiché ogni persona (mentalmente) libera modella la propria esistenza e il mondo in cui vive. “Ogni uomo è un artista in quanto inventa e crea la storia della propria vita”, diceva Joseph Beuys, l’artista sciamano con il quale si prepara una nuova era dell’arte dopo il ready-made di Marcel Duchamp.
Sin dall’inizio la ricerca di Modica è interessata ad agire nello spazio sociale e a confrontarsi con il pubblico indifferenziato della strada attraverso l’ideazione di opere camuffate da oggetti d’uso, atte a stimolare l’azione da parte della gente, inconsapevole di partecipare in prima persona alla definizione formale di un’opera d’arte con il proprio libero comportamento. Il Rilevatore estetico è un’opera in tal senso significativa. Nel 1985 l’artista colloca in piazza dei Miracoli a Pisa, per una giornata, uno strumento da lui
espressamente realizzato: un finto misuratore della pendenza della Torre di Pisa al cui interno è nascosta una cinepresa, che riprende l’inquadratura decisa dalle singole persone, come mostra il cortometraggio ricavato da questo esperimento, utile a documentare un comportamento comune, a prima vista privo di importanza, banale e forse ripetitivo, che l’artista intende invece indagare in tutta la sua involontaria bellezza. Il carattere estetico intrinseco alle quotidiane attività dell’uomo è evidente ancora di più nelle Prove di resistenza materiali, esposte nella sezione Aperto 90 alla XLIV Biennale di Venezia (1990), e nei successivi Piani di lavoro, dove Modica ribadisce un’idea di arte come creatività ampia. Si tratta di lastre di plexiglas poste sui piani di lavoro di vari artigiani per periodi di due settimane, successivamente prelevate, incorniciate e illuminate a luce radente, rivelando incredibilmente immagini di rotte astrali e movimenti cosmici.
Modica parte dall’osservazione della realtà in cui è immerso: una realtà che rileva, preleva e mantiene virtualmente in essere attraverso la registrazione delle sue tracce. Come un investigatore che interviene sulla scena del crimine, usa tecniche scientifiche di indagine per la raccolta e l’analisi degli elementi reperiti, come avviene per le impronte lasciate sulla tazzina di Dulcis in fundo, che l’artista poi ingrandisce e stampa a colori e retro-illumina; oppure per il bancone del Bar Giuliani, presentato nella mostra Storie, che si tiene
nel 1991 a Roma alla galleria Alice e Il Campo, rispettivamente, di Domenico Nardone e Marco Rossi Lecce. Tanto che Renato Barilli interpreta il suo lavoro come metafora dell’indagine poliziesca. A parte questa procedura operativa da CSI, due sono a mio parere le cose da sottolineare per aggiornare l’interpretazione critica della ricerca di Pino Modica. Uno: le sue opere-dispositivo sembrano dei ready-made, invece sono ideate e costruite dall’artista e acquistano significato e valore solo quando si caricano dello spazio della vita, quando si saturano di esperienza. Insomma, sono opere che si pongono decisamente al di là dell’oggetto defunzionalizzato e assurto a opera d’arte di Marcel Duchamp. Due: attraverso l’inserimento della luce la rilevazione sul campo si trasforma in rivelazione.
Nelle opere di Modica la luce sembra in qualche modo funzionare come “immagine di attivazione della mente”, non solo perché rende evidente il reale, altrimenti invisibile, delle quotidiane attività degli uomini, ma anche perché ridona loro l’“aura”, ossia ne mostra l’inconsapevole o irrazionale bellezza. Non a caso, l’artista ha intitolato La luce del reale la sua mostra presso la Pinacoteca Civica di Follonica (fino al 17 settembre 2023). Il titolo contiene un programma di poetica, che propone un’arte non ripiegata su sé stessa ma estroflessa all’esterno. Un’arte eteronoma, per definirla con le parole di Luciano Anceschi. La luce, infatti, è la primissima realtà assolutamente esterna ed estranea, con cui
entriamo in contatto quando nasciamo. Di un bambino che nasce, si dice che “viene alla luce”. Ecco, allora, la bellezza nascosta nelle opere di Pino Modica, che parlano della realtà più misteriosa dell’uomo.

 

In foto: Un’opera di Modica fotografata da Di Fremo82 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=56853063