L’eredità culturale dello scrittore a cento anni dalla nascita: ogni sua narrazione accende la fantasia e libera dall’idea che la realtà sia immodificabile. Per questo è così prezioso a scuola
Non si creda che i classici vadano letti perché servono a qualcosa. Lo scrive in modo lapidario Italo Calvino in “Perché leggere i classici”, un articolo pubblicato nel 1959.Quando morì nel 1985, lui stesso era già un autore di classici, quegli autori che a scuola si leggono nell’ora di narrativa o si studiano nell’antologia di letteratura. Oggi che, a cento anni dalla sua nascita, è oramai entrato a pieno titolo tra i più noti scrittori italiani in patria e all’estero diventando un classico tra i classici riformuliamo la domanda: a cosa serve oggi leggere Calvino a scuola e in qualunque altro contesto? Possiamo pensare che dipenda da come lo si “usa” e cioè, più in generale, da come pensiamo che la letteratura debba entrare nella scuola e nella nostra vita. In un recente manuale sulla didattica della letteratura Simone Giusti scrive che a scuola la letteratura si può usare in tanti modi: proponendo di studiare la vita e le opere degli autori della tradizione rispettando il cosiddetto “canone” e offrendo un preciso modello culturale di riferimento, oppure si può mettere l’analisi del testo al centro del lavoro della classe, sulla scia della tradizione strutturalista o, ancora, si può pensare che la letteratura serva per una crescita prima di tutto personale che, partendo da quella esperienza estetica che ci permette di abitare storie anche lontane nel tempo e nello spazio, ci aiuti a capire meglio noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda. È in questa ottica che a scuola cerco di proporre la letteratura, come uno strumento che possa aiutarci a capire il mondo, che renda più chiaro quel senso invisibile delle cose che a volte si ingarbuglia e le rende incomprensibili.
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