La Corte costituzionale nel 2014 aveva bocciato la legge Calderoli perché antidemocratica. La nuova legge elettorale, nella proposta di riforma del premierato, avrà conseguenze ben più gravi
Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di riforma costituzionale che introduce il premierato. Nella conferenza stampa il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha magnificato l’iniziativa qualificandola come “la madre di tutte le riforme”. Si tratta, ha precisato, «di una riforma costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio e garantisce due obiettivi che dall’inizio ci siamo impegnati a realizzare: il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici … il secondo obiettivo è garantire che chi viene scelto dal popolo possa governare con un orizzonte di legislatura». È sbagliato ritenere esagerata l’importanza che il governo Meloni attribuisce alla riforma.
Con soli cinque articoli il ddl Casellati apparentemente realizza un intervento di portata limitata, ma in realtà devasta i principi della democrazia costituzionale sui quali si basa l’ordinamento della Repubblica italiana. Questa riforma si pone sulla scia di un orientamento consolidato, perseguito non solo dalla destra, che punta alla verticalizzazione del potere e alla conseguente mortificazione della rappresentanza. La porta d’ingresso delle riforme miranti ad alterare il quadro della democrazia costituzionale, fondata sulla centralità del Parlamento, è rappresentata dalle riforme elettorali di stampo maggioritario che si sono susseguite in Italia a partire dal 1993. Chi si ricorda oggi le esternazioni di Veltroni, primo segretario del neonato Partito democratico che magnificava il maggioritario perché consentiva agli elettori di scegliere direttamente il governo, non solo i parlamentari? La riforma costituzionale Meloni è tributaria di una concezione della democrazia che precede gli approdi raggiunti dalla Costituzione italiana.
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