Fa parte del dna di questa destra l’elezione diretta del capo di governo. Fin dalle prime legislature della Repubblica. A ispirarne le ragioni, già negli anni Cinquanta, era stato Carlo Costamagna, giurista di punta del fascismo, che definiva la Costituzione «acefala»
Che obiettivo delle destre fosse affossare la democrazia parlamentare era a tutti noto sin dai giorni della formazione del governo Meloni. Restava solo da capire di che morte dovesse morire. Le alternative poste originariamente sul tappeto erano tre: presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato. La prognosi terminale è stata recentemente sciolta. E dai banchi del governo abbiamo appreso che la soluzione prescelta (anche in ragione del consenso accordato da alcune componenti dell’opposizione) è il premierato: un progetto confuso, contraddittorio, denso di ambiguità. Ma allo stesso tempo particolarmente insidioso, perché destinato a rivelarsi veicolo e collettore di una crisi democratica già grave che l’eventuale irruzione dell’«uomo di fiducia di tutto il popolo» (schmittianamente inteso) non può che acuire ulteriormente.
Da Antonio Gramsci abbiamo appreso che nelle fasi di transizione dei sistemi politici («l’interregno» del non più e del non ancora) «si verificano i fenomeni morbosi più svariati». E che dalla crisi dell’«ordine democratico» è possibile uscire solo in due direzioni: immettendo nell’ordinamento più democrazia, e quindi assecondando la costruzione di un sistema politico plurale e «vertebrato». Oppure, nel caso opposto, esasperando ulteriormente il carattere morboso che ha assunto la vita democratica, al fine di favorirne la dissoluzione. E questo, nell’attuale contesto storico, avrebbe, nel primo caso, voluto dire: rafforzare i luoghi della rappresentanza (mettendo mano a un bicameralismo, oggi più di ieri mortificato nelle sue funzioni, soprattutto all’indomani della sopravvenuta riduzione del numero dei parlamentari); dare vita a un sistema elettorale in grado di esprimere e rappresentare la plurale articolazione politica del Paese (proporzionale); sperimentare nuove forme di legittimazione parlamentare dei governi (sfiducia costruttiva). Insomma, provare a ripristinare la centralità del Parlamento. Ma questo sarebbe potuto accadere solo se i rapporti di forza fossero stati altri e se la maggioranza dei seggi non fosse saldamente a disposizione di formazioni storicamente poco sensibili alle sorti della democrazia costituzionale. A prendere oggi corpo è pertanto l’altra soluzione.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login