Viaggiatore curioso, aperto e disponibile, né condottiero, né missionario. A settecento anni dalla morte, l’autore de Il milione appare sempre più come una figura che aprì le menti dell’uomo moderno. Dal 6 aprile una grande mostra lo celebra a Venezia
Chi era costui? Chi non ha mai sentito questo nome? In qualunque città del mondo forse esiste almeno un albergo, una agenzia di viaggio o una libreria che porta il suo nome. Ma come è stato possibile per questo italiano del Duecento, mercante veneziano, di diventare uno degli italiani più famosi al mondo? Più famoso di Leonardo o Cristoforo Colombo? Si il più famoso, secondo solo - forse - a Dante Alighieri, che pure aveva scritto davvero una formidabile opera letteraria, dando vita ad una lingua nuova.
Marco Polo era nato a Venezia nel 1254; quando aveva sette anni, nel 1261 suo padre Niccolò, in compagnia dello zio Matteo partirono per uno dei tanti viaggi che a quel tempo i mercanti veneziani compivano lungo le coste del Mediterraneo fino a sbarcare in Medio Oriente, per poi da lì spingersi nel continente, attraversare la Persia e il Karakorum fino a raggiungere i confini dell’impero cinese, dove i mongoli stavano insediando la loro dinastia Yuan (1279-1368). Durante il Duecento i mongoli avevano conquistato tutte le vastissime praterie che separano l’impero cinese dai confini dell’Occidente cristiano, fermandosi alle porte di Vienna nel 1242. Gengis Khan aveva fondato il più vasto impero della storia dell’uomo e suo nipote Kublai Khan, oltre a controllare l’impero cinese, tentò di espandersi anche verso sud in Vietnam e condusse due tentativi, falliti, di invadere perfino il Giappone, unico caso in tutta la storia millenaria di quell’impero.
L’Asia centrale era talmente pacificata, che gli storici hanno parlato di Pax Mongolica, per indicare che, per oltre un secolo, tutto quel grande continente era governato da un unico regno, capace di assicurare via di comunicazione e scambi come mai era accaduto prima nella storia. Forse insieme al breve periodo della Pax Romana, fu questa uno dei primi casi di globalizzazione delle vie terrestri del continente euroasiatico. Famosa la frase di uno scrittore del Seicento: “una vergine con un piatto d’oro poteva girare indisturbata da un angolo all’altro dell’impero”. Sicuramente esagerata, ma certamente sensazionale.
Cosa spingeva al viaggio a quell’epoca? Pochi forse erano quelli che si imbarcavano in viaggi così lunghi e pericolosi come free rider; due erano i principali motivi per viaggi così rischiosi: diffondere la propria religione e quindi estendere il proprio potere politico, oppure il commercio, la mercatura.
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