La mostra che Milano gli dedica pone all’attenzione generale il lavoro dell'architetto umbro nel pieno della sua operatività. La sua attività si è esplicata anche nel recupero di spazi tolti alle mafie, trasformati in civili e meravigliosi spazi urbani come quello dedicato a Guido Rossa e a Peppino Impastato

Milano è stata ed è ancora la capitale dell’architettura moderna in Italia. A Milano erano già negli anni Trenta le redazioni delle più importanti riviste di architettura e di design tra cui la Domus di Gio Ponti e la Casabella di Giuseppe Pagano che continuano la loro storia a quasi un secolo dalla fondazione. Ma anche tutti lombardi, se non milanesi, erano i rappresentanti italiani ai CIAM (I congressi di Architettura moderni capeggiati da Le Corbusier e Walter Gropius). A Milano si sono costruite le opere che hanno permesso al nostro Paese di affermarsi internazionalmente ai primi posti del design e dell’architettura come, per esempio con la creazione di un versione made in Italy del tipo americano per eccellenza.

Il famoso grattacielo soprannominato “il Pirellone”, opera di Gio Ponti davanti alla stazione centrale, non è solo un capolavoro ma è un emblema dell’architettura italiana e della sua originalità. Forse per questa supremazia, da Milano si è sempre guardato all’architettura e agli architetti di Roma con un poco di snobistica superiorità anche se almeno tre grandi architetti romani vi hanno lasciato un segno tangibile. Innanzitutto Pier Luigi Nervi, la cui collaborazione con Ponti al grattacielo Pirelli è stata determinante, poi Luigi Moretti nello stupendo complesso a Corso Italia e poi Carlo Aymonino nel complesso di case popolari al Gallaratese. Eppure raramente vi sono state mostre a Milano di un architetto romano così importante, ampia e dettagliate come questa che si è aperta alla sede espositiva all’architetto umbro di nascita ma sempre operante nella capitale, Luigi Franciosini. È un vero tributo, che non ha niente da invidiare a quelli di norma ospitati al Pompidou di Parigi, alla Triennale di Milano o al MAXXI di Roma che è da sottolineare anche perché Franciosini è vivo e vegeto. Una volta tanto non si tratta dunque di una facile retrospettiva, ma della dimostrazione di coraggio critico nel porre all’attenzione generale un architetto nel pieno della propria operatività.


Bisogna dire però dire che la mostra milanese è un evento per almeno altre tre ragioni. La prima è l’ampiezza dello spazio dedicato all’opera di Franciosini. Si tratta di quasi 1000 metri quadri di superficie divisa in due ambienti principali e in uno accessorio. Il recupero e il ripensamento architettonico della Galleria espositiva – posto nell’ala della Facoltà di architettura disegnata con grande vigore dall’architetto Vittoriano Vigano negli anni Settanta del secolo scorso – si deve al lavoro di Massimo Ferrari, professore della scuola che ha anche coordinato la curatela di questa mostra Luigi Franciosini Paesaggi Familiari, aperta sino al 27 maggio 2024. Non solo la quantità dei materiali è straordinaria (moltissimi disegni, grandi plastici e dettagli costruttivi) ma anche tutte le scelte dell’allestimento sono di interesse. Il corpus delle opere che ripercorre l’intera carriera di Franciosini è disposto prevalentemente in grandi tavoli che permettono al visitatore di chinarsi sui disegni, di studiarli sin nei più piccoli dettagli e immaginare di poter un giorno emulare il maestro. I tavoli sono inframezzati da telari appesi che da una parte titolano l’opera esposta e ne esplicano le caratteristiche, dall’altra determinano una dinamica dello spazio a mio avviso straordinaria. Accanto a questa ampia prima sezione se ne organizza una seconda lungo un tavolo in cui il visitatore può sedersi a esaminare pubblicazioni e taccuini di Franciosini, mentre il terzo ambito ospita una piccola galleria da cui si può seguire una lunga intervista video all’architetto.
All’apertura lo scorso 10 aprile, insieme a Massimo Ferrari, e agli altri curatori Claudia Tinazzi, Annalucia D’Erchia, Cristina Casadei, ai principali professori della Facoltà e ai molti collaboratori alla realizzazione, l’architetto Franciosini non ha tenuto solo un discorso sulla sua poetica, ma ha condotto con mano diverse decine di studenti in giro tra le opere i illustrando ragioni e metodi del suo lavoro.
Qui vi il terzo aspetto originale della mostra. Il suo valore aggiunto è di essere nello spazio espositivo del Politecnico Leonardo e diventare immediatamente strumento di un processo di educazione all’architettura. Lo spazio espositivo è a diretto contatto con quello che Viganò aveva immaginato come l’agorà della scuola. Qui gli studenti si incontrano, parlano, disegnano e vanno a visitare la mostra per ispirarsi.
Ma chi è Luigi Franciosini? Si tratta di un architetto sessantenne che è anche professore appassionato di architettura alla facoltà di Roma tre. La sua particolarità, così mirabilmente illustrata nella mostra, è quella di padroneggiare un disegno-pensiero che si svolge nella maniera più fluida che sino ad oggi si sia inventata. Non vi è ancora un filo più diretto ancora oggi che il disegno a mano “libera” per collegare la mente alla mano se due dita tengono una piccola protesi di grafite. Franciosini traccia disegni che sono rilevati sismici del proprio pensiero di progettista. Il sismografo registra ogni neurone del cervello. Una volta l’architetto si interroga su come costruire un edificio o articolare la cerniera di un cancello, un’altra a come disporre con ordine gli ambienti per farli essere vitali spazi abitati, un’altra a come pensare all’architettura come se essa stessa diventasse forma del suolo su cui si innesta. Perché profonda è l’appartenenza di Franciosini a quella Roma e a quel paesaggio etrusco dove l’architettura si organizza primariamente come trasformazione e adattamento creativo del terreno e dell’ambiente circostante. Ne nascono i suoi acclamati progetti a Roma in zona archeologica, a partire dalla sistemazione dei mercati di Traiano per proseguire con il Prix de Rome per il ripensamento dell’area dei Fori imperiali sino a importanti opere oggi in cantiere quali la sistemazione di uno spazio ancora non valorizzato come quello delle Sette sale – e cioè di uno spazio ipogeo di incredibile ingegneria antica con delle grandi cisterne in adiacenza alla famosa Domus aurea di Nerone. Ma Luigi Franciosini ha lavorato anche in periferia reinventando spazi tolti alle mafie e trasformandoli in civili spazi urbani come quello dedicato al sindacalista Guido Rossa o a Peppino Impastato. La mostra è gratuita, un vero regalo al pubblico.

Info Mostra: www.auic.polimi.it

Il libro
Su Luigi Franciosini è stato appena pubblicato un volume monografico scritto da Gaetano De Francesco per LetteraVentidue Edizioni. Il libro inaugura la nuova collana “Imprinting” che si oppone a ogni ideologia revanscista o identitaria per presentare la ricerca dei migliori architetti operanti in Italia attraverso la ricchezza del proprio paesaggio nativo quale linfa della propria ricerca architettonica, come nel caso dell’Etruria per Franciosini.