Il Fondo di finanziamento ordinario per il 2024 prevede un taglio di oltre mezzo miliardo, pregiudicando i conti dei 67 atenei pubblici. In questa situazione di emergenza, mentre le università telematiche e profit godono di molto favore, è necessario un cambio di passo complessivo, perché lo sviluppo sociale del Paese dipende dal sistema universitario nazionale

La Flc Cgil ha lanciato da oltre un anno un grido di allarme sullo stato dell’università pubbliche e degli effetti sui lavoratori sugli studenti e in generale sul nostro sistema formativo: non solo i costi e l’assenza di alloggi per studenti, un diritto allo studio troppo limitato, il nuovo rallentamento nelle iscrizioni, le sperequazioni tra atenei ma anche le rinnovate tensioni nei bilanci universitari per la crescita dei costi di funzionamento dovuti all’inflazione e le risorse stagnanti.
Oggi l’emergenza è resa chiara nella bozza di Decreto di riparto del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo). Nel giro di un paio d’anni quasi due terzi degli atenei statali rischiano di non chiudere i conti, aprendo uno stato di crisi e di contrazione dell’università persino peggiore di quello che abbiamo visto tra 2010 e 2015. Il Ffo del 2024, infatti, prevede un taglio effettivo di oltre mezzo miliardo di euro, antipasto di una stagione che a partire dalla prossima legge di bilancio rischia di essere segnata da tagli profondi al sistema della infrastrutture sociali come l’istruzione l’università e la ricerca. Il Ffo rappresenta la maggior fonte di finanziamento per le 67 università statali del Paese: come indica il suo nome, fornisce le risorse per le attività istituzionali degli atenei (erogazione dell’offerta formativa, ricerca di base, la cosiddetta terza missione e le retribuzioni del personale). Il Ffo copre infatti oltre 2/3 delle entrate degli atenei: un cruciale 15% deriva dalla tassazione studentesca (in diversi atenei superando il limite del 20%, imponendo all’Università di Torino la restituzione di quasi 40 milioni di euro); la restante parte deriva da altri soggetti (in particolare progetti di ricerca europei e internazionali, conto terzi, finanziamenti da enti locali e fondazioni bancarie del territorio, scarsissimi contributi privati).

Questo cambio di passo è grave per l’università italiana. Si apre infatti una nuova fase di tagli e contrazioni che rischia di debilitare e scomporre il sistema universitario italiano. Il rischio è che si possano amplificare le divergenze tra territori e università, lasciando ulteriore spazio allo sviluppo alla giungla scarsamente regolata degli atenei profit e telematici.
Il governo ad oggi si è mostrato particolarmente generoso verso le telematiche che stanno determinato una competizione al ribasso nel sistema universitario. Le dimensioni che oggi hanno raggiunto gli atenei telematici, l’introduzione di modelli profit e la loro estensione anche agli atenei in presenza rischiano infatti di incidere progressivamente sulle strategie e le forme organizzative di tutte le università, da una parte introducendo nelle attuali condizioni di mercato o quasi-mercato soggetti che potrebbero esser spinti dal proprio scopo di profitto a derogare a livelli qualitativi minimi nella propria offerta, dall’altra innescando una spinta significativa a divaricare mission e offerte formative tra le diverse tipologie di ateneo, spezzando di fatto l’attuale impianto unitario dei titoli di studio. In questo contesto, anche in ambito accademico oltre che in quello politico, ci sembra mancare l’opportuna riflessione collettiva e istituzionale sulle dinamiche in corso, le loro conseguenze sistemiche e quindi la necessità di adottare provvedimenti urgenti.

Segnaliamo allora cinque fragilità che preoccupano nell’immediato: le possibili contraddizioni tra Funzione pubblica degli atenei e interessi profit, la Libertà didattica e di ricerca, la Qualità dei corsi di studio in relazione ai criteri di accreditamento e requisiti minimi, la Qualità degli studi e la legalità in relazione agli esami, le Lauree in ambito sanitario e per particolari professionalità. Su questi temi oltre ad una importante iniziativa della nostra organizzazione, occorre una azione politica volta ad arginare una deriva pericolosa nel sistema della formazione del nostro paese.
È in questo scenario, che il governo ha annunciato una revisione del pre ruolo ma con la finalità di moltiplicare le figure precarie e di mettere in campo un intervento complessivo per radicalizzare gli assi portanti della legge 240 del 2010. Oltre a ciò sottolineo l’incognita Autonomia differenziata che riguarda indirettamente il sistema universitario e che in generale avrà come effetto una ulteriore frammentazione e un aumento delle disuguaglianze tra territori.

Ci attende allora una fase di impegno e di lotta a cui chiamiamo l’intera comunità universitaria, rivendicando un cambio complessivo di politica economica e sociale che non solo salvaguardi il sistema universitario nazionale, ma che lo rilanci come elemento fondamentale della coesione e dello sviluppo sociale del paese. La Flc Cgil farà la sua parte, come sempre dalla stessa parte: la parte dei diritti, della tutela delle istituzioni pubbliche di istruzione e di formazione, dalla parte della Costituzione.

L’autrice: Gianna Fracassi è segretaria generale Flc Cgil

Nella foto: Politecnico di Milano (GioRan)