Non ho problemi a confessare il mio guilty pleasure: guardo Un posto al sole. Per chi non lo sapesse, la famosa soap opera inventata da Giovanni Minoli 28 anni fa, trasferisce su Rai 3 le storie di persone comuni inventate, mai bellocce, con impieghi e personalità verosimili: dal portiere chiacchierone all’avvocato opportunista, dal vigile fannullone alla dottoressa appassionata. Le vite dei protagonisti, molti dei quali cresciuti e invecchiati sotto i riflettori del Centro produzione Tv Rai di Napoli, sono raccontate attraverso le sfide familiari, sentimentali e lavorative che affrontano, insieme ai più noiosi siparietti domestici, funzionali però all’omogeneità e alla chiarezza del racconto.
Dialoghi semplici, fotografia e suono poco più che amatoriali, scenografie modeste, recitazione stereotipata, ma non importa: ogni sera, alle 21:10, circa 700mila telespettatori seguono le vicende di questi alter ego così credibili. Anzi: noi fan gli siamo affezionati e li percepiamo come autonomi. Li chiamiamo coi nomi dei protagonisti, trascurando il fatto che questi avatar siano frutto della fantasia degli autori e soprattutto il fatto che, lavorando per la televisione di Stato, gli sceneggiatori debbano rispondere alle indicazioni del governo di turno.
Le storie di Palazzo Palladini non sono dunque mai casuali. Anzi, con i costanti riferimenti all’attualità e attraverso gli esempi di vita che ci indicano come interpretarne la complessità, la narrazione è profondamente intrisa di politica – per non dire di propaganda – nella sua capacità di influenzare un pubblico emotivamente coinvolto e spesso acritico.
Con i tempi che corrono, oggi più che mai la soap opera campana, giunta alla 27esima stagione, sembra veicolare messaggi reazionari, tradizionalisti e con un forte sottotesto religioso e i personaggi con le loro travagliate, ma comprensibili scelte, sono i principali latori di questa deriva. Alcuni esempi: di Viola, nella serie un’insegnante separata che è tornata a vivere in famiglia, si ignora la precarietà lavorativa, nonostante questa rifletta la frustrante realtà di migliaia di docenti in Italia, preparati e formati eppure inseriti in graduatorie infinite. Portavoce dello Stato e dell’idea di giustizia sono poliziotti coraggiosi e magistrati integerrimi, benché sia poi il prete dei Quartieri Spagnoli il vero eroe contro le mafie e vicino agli ultimi. Mentre Guido e Mariella affrontano un matrimonio in crisi con tanto di corna chiacchierate, gli amici Michele e Silvia difendono la famiglia tradizionale spronandoli, per una decina di puntate, a tornare insieme nel nome del figlio… e dello spirito santo. A tal proposito, va fatto notare che ogni nuovo nato viene battezzato e che ogni matrimonio avviene solo in chiesa, rafforzando ulteriormente, qualora non fosse sufficiente, la visione confessionale della vita familiare. Dall’altra parte, la redenzione di personaggi malvagi come Lara, che da cattivissima diventa buonissima solo quando si fa suora, sembra passare obbligatoriamente attraverso la fede, confermando l’idea che non esista etica fuori dal pensiero religioso.
E, se non sorprende l’assenza di riferimenti alla laicità, grande assente della televisione italiana, serve un po’ più di attenzione per notare anche la mancanza da questa narrazione del rispetto delle libertà individuali e all’autodeterminazione, temi fondamentali in una società sempre più plurale, eppure completamente esclusi da un dibattito in cui non si affrontano mai il diritto di scegliere per sé stessi o il rispetto per le scelte altrui. I personaggi omosessuali sono ridotti a buffe macchiette e la donna dallo stile di vita libertino è in vero una narcisista scollata dalla realtà, che riesce a intrattenersi tra saune e palestra grazie ai soldi del mantenimento che l’ex marito le versa. In questa serie capace di penetrare emotivamente un pubblico variegatissimo per fasce di età si percepisce un’inclinazione a rafforzare modelli rigidi: servizio pubblico e propaganda sono finemente intrecciati in una dinamica ben consolidata, in una sorta di gioco di equilibrio tra intrattenimento e influenza.
Anche le vicende dei ricchi e dei cattivi di Un posto al sole sono storie che toccano corde personali e intime e gli spettatori, che hanno sviluppato anche con loro un legame affettuoso ed empatico lo capiscono: anche i ricchi piangono.
Il suggerimento di modelli familiari accettabili e normali, inoltre, arriva ai telespettatori all’ora di cena, quando ci si rilassa a tavola dopo una dura giornata di lavoro. L’appuntamento con gli amici di Palazzo Palladini diventa così una coccola serale che allontana i pensieri dalle preoccupazioni, dalle ambizioni di cambiamento, dalle inquietudini e dal desiderio di contestare il sistema e le sue ingiustizie. Del resto, è più facile guardare la Tv che lottare per un mondo migliore, e la meglio parola è chella ca nun sa dice.
L’autrice: Irene Tartaglia è coordinatrice Circolo UAAR di Roma
Nella foto: i principali protagonisti della storica soap “Un posto al sole” (dalla pagina facebook)