La scorsa settimana, Assindatcolf, l’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, costituita su iniziativa della Confedilizia nel 1983 per rappresentare e tutelare la categoria delle famiglie che hanno alle loro dipendenze dei collaboratori domestici, ha presentato un Paper dedicato alla «crisi del lavoro domestico, tra crollo degli occupati e irregolarità».
Il Paper è tratto dal Rapporto 2024 Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico, promosso da Assindatcolf con il Censis, Effe (European Federation for Family Employment & Home Care), Fondazione Studi consulenti del lavoro e centro studi e ricerche Idos.
Secondo il Rapporto, tra 2021 e 2023, gli occupati del comparto sono calati di 145mila unità. In sintesi, secondo Assidatacolf, le cause di questa vistosa flessione sono rappresentate dalla «crescita dei costi per l’assistenza» che «porta sempre più donne a rinunciare al lavoro». Rispetto al 2018, il numero delle donne tra i 55 e i 64 che hanno deciso di non lavorare più per motivi familiari, è cresciuto di 219mila unità. Questo, nonostante la curva dell’occupazione femminile sia in crescita.
Spiega ancora il Paper che «secondo l’indagine Family (Net) Work svolta a luglio 2024 su un campione di 2.015 famiglie aderenti ad Assindatcolf e Webcolf, i nuclei che si avvalgono dei servizi forniti da una badante affrontano ogni mese un costo superiore al 50% del reddito mensile. Cifre ormai insostenibili non solo per le famiglie a basso reddito, ma anche per il ceto medio (le famiglie che fanno fatica a sostenere queste spese passano dal 27,9% del gennaio 2023 al 55,2% del luglio 2024). Non va, inoltre, sottovalutato come la stessa offerta di lavoro, molto ampia in passato, si stia restringendo. Le famiglie italiane, infatti, non solo hanno problemi a reclutare la persona giusta per il tipo di lavoro da svolgere (68,7%), ma anche nel reperire le figure disponibili (21,5%). Emblematica è la difficoltà di ricambio generazionale nel settore: se nel 2014, su 100 badanti, 24 avevano meno di 40 anni e 12 più di 60 anni, nel 2023, la quota di under 40 risulta quasi dimezzata (14,2%), mentre quella degli over 60 più che raddoppiata (29,1%)”.
C’è, poi, il nodo del lavoro sommerso messo in evidenza dall’Istat. Nel 2023, la quota di lavoro irregolare nel settore del lavoro domestico si è attestata al 54%. Il che fa sì che il peso del lavoro domestico sia del 38,3% sull’insieme sul totale del sommerso. Con un costo per la collettività che sfiora i 2,5 miliardi di euro all’anno: 1,5 miliardi di mancato gettito contributivo e 904 milioni di evasione Irpef.
Si parla molto di politiche “per le famiglie”. E naturalmente per il lavoro. Ma è proprio nelle nostre case che si annidano, insomma, in un nodo perverso e con grande peso per la collettività, grandi irregolarità e disuguaglianze.
«È ormai chiara a tutti l’esigenza di una riforma generale del sistema, a partire dalla fiscalità: lo Stato deve supportare economicamente le famiglie rendendo più accessibile e conveniente il lavoro domestico regolare. Per questo chiediamo alla politica di mettere al centro della propria agenda, alla voce welfare familiare, deducibilità fiscale o credito d’imposta del costo del lavoro domestico». Questo il commento del presidente di Assindatcolf, Andrea Zini.
L’autore: Sindacalista e già ministro del lavoro Cesare Damiano è presidente di Lavoro & Welfare