Come dice il presidente Mattarella, bisogna fermare «l’oltraggio alla convivenza» rappresentato dalle morti sul lavoro. Le scelte da fare: più risorse per prevenzione e formazione e via il far west degli appalti

La funzione delicatissima svolta dai presidenti della Repubblica è oggetto di un insidioso disegno di depotenziamento da parte della maggioranza di destra. Il progetto di “premierato forte”, che prevede l’elezione diretta del capo del governo, voluto da Giorgia Meloni e fatto oggetto di un annuncio dal ministro per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa, Maria Elisabetta Alberti Casellati, porta con sé un evidente ridimensionamento del ruolo del capo dello Stato e del Parlamento.
In particolare, per quanto riguarda il presidente, si tratta di un ruolo fondamentale di arbitro costituzionale e istituzionale. E anche, non meno rilevante, di perno morale della Repubblica. Indebolire questa figura, insieme al Parlamento, metterebbe in discussione la nostra stessa architettura costituzionale. Ma per venire all’oggetto di questo articolo, chi, se non una figura dotata di grande esperienza e sensibilità politica, ma collocata super partes, come quella del capo dello Stato, potrebbe richiamare le istituzioni stesse alle urgenze, da un lato più sentite dall’opinione pubblica e, dall’altro, concretamente più rilevanti per l’interesse del Paese? ( Il presidente Mattarella l’ha fatto anche oggi nella giornata del 13 ottobre 2024 dicendo”La sicurezza sul lavoro è una priorità permanente“)

È questo il caso della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e della insopportabile catena di vittime alla quale si aggiungono, ogni giorno, nuovi anelli.
Voglio qui rendere omaggio a Giorgio Napolitano. La costante moral suasion che il presidente esercitò sull’Esecutivo del tempo, in particolare all’indomani dell’incidente del 6 dicembre 2007 alla Thyssenkrupp di Torino, diede impulso e aiuto al governo Prodi, del quale ero ministro del Lavoro, a emanare, poco dopo, in aprile, il Decreto 81 del 2008, noto come Testo Unico su salute e sicurezza sul lavoro, quando quell’Esecutivo era già dimissionario.
All’indomani dell’incidente di Brandizzo, Sergio Mattarella, a sua volta, dette voce alla sensazione diffusa provocata da quell’evento: «Tutti quanti abbiamo pensato come morire sul lavoro sia un oltraggio ai valori della convivenza».

Quali sono, dunque, i punti fondamentali, oggi, per ripristinare quei valori di fronte alle mille morti all’anno, tre al giorno, che si verificano nei luoghi di lavoro? Vorrei fare una premessa di natura storica. Negli ultimi 60 anni, dal boom economico a oggi, siamo passati, progressivamente, dagli oltre 10 morti al giorno di allora a una media di 3. Si tratta di un arido dato statistico che ci dà la misura del miglioramento avvenuto, ma che, al tempo stesso, ci richiama alla dimensione umana di quella che continua a essere una strage quotidiana. Una riduzione di morti sul lavoro dovuta a una molteplicità di fattori: l’adozione di nuove tecnologie, la lungimiranza di una parte delle imprese nella scelta degli investimenti in prevenzione, la contrattazione sindacale, la legislazione e l’attenzione all’ergonomia, quindi, a fondamentali elementi di protezione della salute e della sicurezza. Oggi, però, non si riesce ad andare al di là di questa sia pur significativa riduzione delle perdite umane sul lavoro. Tenendo anche conto che, sì, diminuiscono gli incidenti non mortali ma aumentano le malattie professionali.

Il Decreto 81 del 2008, che ha fatto parte di questo percorso virtuoso, si basava su tre concetti: prevenzione, formazione e repressione. Noi crediamo soprattutto alla prevenzione e alla formazione. Poi, i controlli e le sanzioni sono assolutamente necessari, ma come intervento di ultima istanza. Prevenzione vuol dire spostare l’asse dal risarcimento all’investimento. L’Italia, ogni anno, spende 3 punti di Prodotto interno lordo, più di 50 miliardi di euro, per risarcire le morti, le inabilità parziali o totali, le ferite e il disagio derivanti dagli incidenti sul lavoro. Riuscire a convertire una quota parte di quelle risorse in prevenzione è fondamentale. Quel 3% del Pil è, purtroppo, una media internazionale. L’Istituto preposto, l’Inail, del quale sono stato consigliere di amministrazione fino all’incomprensibile commissariamento deciso dal governo Meloni, si muove già in questa direzione. I bandi Isi, Interventi di sostegno alle imprese, prevedono un finanziamento a fondo perduto per investimenti in prevenzione a favore delle aziende, con un massimale di 130mila euro per ogni intervento: nel 2022 sono stati stanziati a questo scopo 333 milioni di euro. A questi bandi dobbiamo aggiungere il meccanismo del bonus-malus sui premi assicurativi pagati dalle aziende nel caso della certificazione di “infortuni zero” nel periodo precedente. Si tratta di un raro caso nel quale, giustamente, l’azienda virtuosa viene premiata.

Esiste, però, un problema decisivo. L’Inail risparmia un miliardo, un miliardo e mezzo l’anno nel rapporto tra entrate e spese. È necessario ricordare che sono fondi versati dalle imprese. Ma quei soldi sono vincolati in quanto istituti come Inps e Inail rientrano nel computo del debito pubblico. Questa situazione è un freno agli investimenti. Fondi che andrebbero investiti ulteriormente in prevenzione e formazione. Si devono, perciò, fare scelte: a mio parere un po’ più di debito è giusto se questo serve per gli investimenti che tutelano la salute e la sicurezza. In caso contrario bisogna avere il coraggio di dire che una parte dei premi pagati all’Inail dalle aziende rappresentano una tassazione occulta a carico delle stesse imprese. Occorre precisare che l’Inail ha in deposito presso la Tesoreria una cifra cumulata superiore ai 37 miliardi di euro, naturalmente a rendimento zero.
Che cosa fare

Per quanto riguarda il fronte normativo si dovrebbe, innanzitutto, completare il Decreto 81 del 2008 a partire dalla cosiddetta “patente a punti” ( nella forma originaria in cui fu proposta, non in quella attuale, dove basta una autocertificazione ndr). Nelle gare d’appalto sarebbe auspicabile conteggiare, nella misura massima possibile, ai fini del punteggio, tutte le azioni virtuose previste dalle aziende nel campo della prevenzione. Si deve combattere la pratica, esplosa con il “bonus 110%”, dell’iscrizione alla Camera di commercio di aziende, perlopiù individuali, senza esperienza e cultura professionale nel settore dell’edilizia: si sono costituite imprese fantasma e improvvisate, senza attrezzature, macchinari, né manodopera che svolgono un’opera di pura intermediazione di lavoro a basso costo. Una forma di “caporalato edilizio” denunciato dalle associazioni delle imprese della categoria e dai sindacati. Andrebbe anche rivisto il nuovo Codice degli appalti nel quale, come spesso accade, si confonde la parola “semplificazione” con la “deregolazione”. Un conto è semplificare gli adempimenti, un conto è togliere le regole. Si dovrebbe cancellare o almeno accorciare la catena dei sub-appalti, non favorirla e allungarla e, soprattutto, chiudere definitivamente il capitolo del massimo ribasso a vantaggio della offerta economicamente più vantaggiosa. La logica da affermare, se si punta alla eccellenza, è: può vincere anche chi ha il prezzo più alto nel caso in cui offra la migliore qualità tecnica, il pieno rispetto delle regole della sicurezza e la trasparenza retributiva.

Infine, come ci dimostra Brandizzo, è opportuno potenziare tutti gli elementi di alleanza e collegamento tra ricerca, produzione dei macchinari, progettazione della organizzazione del lavoro e rispetto della sicurezza. Un solo esempio: l’orditoio, che ci riporta alla vicenda di Luana D’Orazio. Perché quel macchinario era progettato per continuare a produrre anche se era stato tolto il riparo, scelta che ha provocato la morte della lavoratrice? Incorporare, come elementi trainanti della progettazione, la sicurezza e l’ergonomia che portano con sé il valore della persona che lavora e non soltanto la velocità dell’esecuzione e il risparmio di tempo e di denaro, è fondamentale. Da questo punto di vista si deve fare sicuramente quel salto in avanti che di recente ha chiesto il presidente della Repubblica.

L’autore: Cesare Damiano, già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare

Nota di redazione: La versione originale dell’articolo è stata pubblicata sul left il 5 ottobre 2023, nella 74° Giornata Nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro,  ve la riproponiamo perché oggi è più attuale che mai