Il libro di Alessandro Portelli "Dal rosso al nero” completa la trilogia su Terni, un tempo grande centro industriale. È un documento sulla crisi della sinistra e l’ascesa di una destra populista. Un pezzo di storia d’Italia
Nel pieno della temperie politica che sta spostando sempre più a destra l’asse politico arriva il libro di Alessandro Portelli, Dal rosso al nero. La svolta a destra di una città operaia (Donzelli editore) che trova la sua ragion d’essere nel percorso di ricerca pluridecennale dell’autore sulla città di Terni, con due libri all’attivo (Biografia di una città, 1985; Acciai speciali, 2008) che necessitavano di trovare un completamento. Un percorso che incrocia gli interrogativi comuni a tutto il mondo della sinistra. Da storico orale, Portelli non tenta una macro analisi ma sceglie il livello micro e fa di Terni un “laboratorio d’Italia”, punto di osservazione privilegiato contrassegnato da specificità proprie, in un’intersezione di piani che consente di osservare da vicino il “farsi” concreto della metamorfosi della città. Portelli parte da due momenti di piazza, la contestazione al sindacato nel 2014, nel pieno della lotta alla Acciai speciali Terni (Ast), e gli applausi a Salvini nel 2018: due piazze distinte prese a simbolo del «Tramonto rosso» e della «Alba nera», già anticipata negli anni Novanta dall’elezione a sindaco di Gianfranco Ciaurro. Ma il punto non sono le elezioni bensì i processi storici, che muovono da un duplice registro: la rottura tra la classe operaia e la sinistra, un fenomeno generalizzato che in ogni luogo si complica di molteplici peculiarità; il declino industriale, che non sempre significa deindustrializzazione - a Terni, come altrove, la fabbrica continua ad esserci - ma è ridimensionamento, economico e culturale, dell’industria e della classe operaia, reso evidente dalla conclusione della vertenza all’acciaieria: «Quando l’Ast offre 60mila euro netti come incentivo per lasciare volontariamente il lavoro, il numero di quelli che accettano va oltre le aspettative aziendali … . L’esodo è il segno che tanti operai al futuro della loro fabbrica, o al loro futuro in fabbrica, non ci credono più» (p. 48).

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