Prima il "decreto Albania" bocciato dai giudici, adesso l'autonomia differenziata che riceve lo schiaffo della Consulta: sono incostituzionali sette punti centrali della riforma Calderoli

I predecessori, anche i più sfrontati come Andreotti o Berlusconi, almeno avevano il buon gusto di circondarsi di persone che le norme le conoscevano, le avevano studiate e possedevano abbastanza esperienza per riuscire a torcerle a proprio vantaggio.

Il governo Meloni ha scritto un costosissimo – per noi italiani, mica per loro – “decreto Albania” che anche uno studente al primo anno di giurisprudenza avrebbe riconosciuto come fallimentare. Bastava ripassare velocemente la gerarchia del diritto un secondo prima dell’interrogazione per sapere che il diritto europeo è superiore alle leggi del governo di turno e per ricordare che la Costituzione non si piega alle pulsioni autoritarie di nessun Consiglio dei ministri.

Ora anche la cosiddetta autonomia differenziata (che altro non è che una secessione morbida) riceve uno schiaffo dalla Corte costituzionale. La Consulta ravvisa sette profili di incostituzionalità su aspetti centrali della riforma, chiarendo che “il fine dell’autonomia non è certo di aderire alle pretese delle Regioni ma deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.

Nei corridoi della Lega ieri si bisbigliava che fosse andata «peggio del previsto». Prevedevano quindi di aver scritto una legge non del tutto legale, e nonostante questo, da mesi la peroravano come un’intuizione politica perfetta, mandando avanti il ministro Calderoli a fare il testimonial di una ciofeca.

Ora la maggioranza assicura che “interverrà in Parlamento”. Come non fidarsi?

Buon venerdì.