Giorgia Meloni aveva fretta. Stringe il tempo del probabile rinvio a giudizio della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, e la priorità era quella di sostituire subito il ministro degli Affari europei e del Pnrr, Raffaele Fitto, neo commissario a Bruxelles alla corte di von der Leyen.
Evitare il rimpasto era l’imperativo della presidente del Consiglio, soprattutto in queste settimane in cui Tajani e Salvini se le stanno dando di santa ragione, inficiando la parvenza di maggioranza compatta che per Meloni è fondamentale per concimare la sua autorevolezza.
Forza Italia ha timidamente provato a chiedere la poltrona in virtù della crescita alle ultime tornate elettorali. Da Palazzo Chigi fanno notare che ,al massimo, avrebbe dovuto essere la Lega a cedere qualcuno dei suoi posti. Per qualche giorno si è coltivata l’idea di mettere al ministero un tecnico, qualsiasi cosa significhi. Il ragionamento era semplice: un nome ben visto dall’Ue avrebbe contribuito alla narrazione di Meloni moderata ed europeista, un altro passo per rendere potabile il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (Ecr) nel consesso dei grandi d’Europa.
Ma alla fine a vincere sono le fobie. La presidente del Consiglio si sente assediata perfino dai suoi alleati, vede complotti dappertutto. Si opta per la fedeltà come primo merito, ingrediente immancabile del sovranismo contemporaneo. Così Con Fitto a Bruxelles Tommaso Foti diventa ministro. “Masino” è meloniano fino al midollo, bravo a mostrarsi istituzionale quando non gli scappa una mascherina con la scritta “Boia chi molla” e quando non rinnega il 25 aprile per eccesso di euforia. “Tra le migliori risorse di cui Fratelli d’Italia dispone oggi”. Non ne dubitiamo.
Buon martedì.