L'aspirazione del ministro dei Trasporti: tornare al Viminale, dopo la recente assoluzione che dovrebbe essere la certificazione che sì, «ha protetto i confini»

Che Matteo Salvini fosse stato parcheggiato al ministero dei Trasporti perché non era riuscito a ottenere il Viminale era chiaro un secondo dopo la formazione del governo Meloni.
Sì, certo, il leader della Lega ha ripetuto più volte che brigare di treni e di ponti fosse la sua grande aspirazione. Prova, con fatica, a interpretare la maschera dell’operoso lombardo nel ministero romano, ma viene sfrantato ogni giorno dai disservizi e dalla mala organizzazione. Nemmeno il cosiddetto ponte di Messina – che oggi è un’idea molle piantata su sponde incerte – riesce a dargli smalto.
L’unico capitale in mano al leader leghista era quel processo. Gli è bastato raccontarlo storto per trasformarlo in un giudizio della sua esperienza da ministro dell’Interno e la recente assoluzione dovrebbe essere la certificazione che sì, Salvini «ha protetto i confini».
Peccato che la narrazione non stia in piedi, proprio per niente. Matteo Salvini ha lasciato languire persone migranti per qualche giorno per poi farle sbarcare, quindi non c’è nessun respingimento, nessun porto chiuso. Anche i suoi sostenitori più sfegatati ammettono che l’unica utilità di quel gesto cattivo con Open Arms sia il messaggio deterrente.
Ma per Salvini la politica è solo un teatro di posa. Il suo fare mira a corroborare il personaggio. Per questo oggi chiede a Meloni di potersi esibire sull’antico palcoscenico del Viminale. Non ha più sostanza, non ha più programmi. La malinconia per il ministero dell’Interno è il suo unico messaggio politico. A pensarci bene, è un naufrago anche lui.

Buon lunedì.