Una selezione di oltre cento opere presenta la produzione più recente dell’artista abruzzese Sandro Visca (è nato a L’Aquila nel 1944 e attualmente risiede a Pescara). Nella mostra Fracturae, curata da Generoso Bruno e aperta fino al 12 gennaio al Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese grandi tele, opere installative e un’ampia selezione su carta documentano i sessant’anni di attività dell’allievo di Giuseppe Desiato (figura storica della Performance art in Italia, scomparso a 89 anni a luglio di quest’anno a Napoli) il quale nel 1961 aveva promosso la creazione a L’Aquila, del “gruppo 5”, una compagine di cinque artisti (tra cui anche il nostro) che si proponeva di rinnovare in modo radicale il concetto stesso di arte attraverso l’apertura a nuove modalità di produzione e fruizione dell’arte, come la performance e l’happening. L’allora giovanissimo artista abruzzese, che aveva mostrato un talento precocissimo per il disegno (già a cinque anni passava le giornate a dipingere paesaggi e a disegnare personaggi immaginari), nel corso di un settantennio di attività, a differenza del suo maestro, mise al centro della sua produzione artistica l’artefatto e solo occasionalmente diede vita a performance artistiche (lo fece nel 1975, dedicando alla sua performance il film Un cuore rosso sul Gran Sasso, corredato da un volume serigrafico presentato dall’etnomusicologo Diego Carpitella). Ma una cosa da sempre lo ha accomunato al suo maestro napoletano: il rifiuto più completo delle dinamiche del mercato dell’arte.
La mostra Fracturae copre un arco temporale vastissimo (la prima opera risale al 1962 e l’ultima al 2024) e rappresenta quindi un’opportunità unica per conoscere l’intera parabola di un grande artista negli oltre settant’anni della sua attività. Si passa dalle prime opere su carta e cartoncino degli anni Sessanta, nei quali il giovane Visca appare in cerca di un proprio mondo figurativo, alle prove più mature, nelle quali si possono intravedere i contorni di una figurazione personale.
Quando nel 1961 visita la mostra di Rothko a Roma ebbe modo di vedere da vicino alla Galleria Nazionale d’arte moderna le opere di Alberto Burri, allora al centro di una feroce polemica (l’acquisto di alcune opere dell’artista umbro voluto dalla direttrice Palma Bucarelli nel 1959 aveva scatenato una feroce campagna di stampa). L’incontro con Burri (che qualche anno dopo il nostro conobbe personalmente) fu decisivo per orientare il giovane abruzzese verso l’uso di materiali cartacei di recupero, stoffe, stracci, vinavil, smalti, ferri saldati ed altri elementi tratti delle sfere più disparate della vita quotidiana. Nel 1964 la sua mostra personale al Salone del “Grand Hotel et du Parc” dell’Aquila suscita una forte disapprovazione da parte del pubblico locale. Anche a causa di una crescente incompatibilità con l’ambiente aquilano, si trasferisce in seguito a Roma, pur continuando a partecipare a mostre e iniziative artistiche in Abruzzo. Fu notato dal critico Enrico Crispolti, curatore di tre edizioni di “Alternative Attuali” (una manifestazione d’arte internazionale che si svolse a L’Aquila) nel 1962, 1965 e 1968 e della mostra Aspetti dell’arte contemporanea, iniziative che contribuirono a rendere il capoluogo abruzzese un importante punto di riferimento per il panorama artistico nazionale e internazionale in quegli anni (il critico, scomparso nel 2018, ha scritto su Visca in molti cataloghi).
Nel 1968 l’artista abruzzese decide di lasciare Roma e i rapporti operativi con Milano e si trasferisce a Pescara dove nella Sezione Accademia del Liceo Artistico gli viene assegnata la cattedra di Discipline pittoriche. Qui, lontano dai meccanismi del potere della critica e del mercato dell’arte, trova la misura operativa consona alla sua esigenza di essere e di esistere fuori da tutti gli schemi, lontano dai meccanismi del potere della critica e del mercato dell’arte. L’anno successivo diventa collaboratore artistico del Teatro Stabile dell’Aquila e, in occasione della XXIV Festa del Teatro a San Miniato, realizza le scene di Alberto Burri per lo spettacolo L’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone con la regia di Valerio Zurlini. In questa circostanza l’incontro con Burri si tramuta in una vera amicizia. Nonostante questi fosse un uomo notoriamente schivo, spesso invita Visca a Casenove nella sua casa studio di montagna immersa tra secolari boschi di castagni dove i due trascorrono molti pomeriggi a parlare di pittura. Qualche volta l’artista umbro si fa aiutare da Visca a stendere fondi di vernice su alcune sue opere in corso di esecuzione e a preparare i pannelli di cellotex.
Se da una parte molti sono gli elementi che uniscono l’opera di Visca a quella del più fortunato maestro di Città di Castello, dall’altra l’abruzzese mostra di possedere un mondo figurativo personale, che nulla ha a che vedere con quello di Alberto Burri e che sicuramente merita di essere (ri)scoperto. A mio avviso la chiave per (ri)comprendere il mondo di Visca è la “messa in scena”. Mentre le opere dell’artista umbro sono concepite e realizzate “in assenza” di uno spettatore, al contrario, quelle di Visca, specialmente quelle degli ultimi decenni, in modo più o meno implicito, richiedono la sua complicità. A dimostrazione di ciò, l’ossessione per il teatro, che torna in moltissime opere esposte in questa mostra sotto diverse forme: stoffe cucite sulla tela che ricordano costumi teatrali, composizioni di immagini che ricordano quelle di un teatro anche nei titoli (Meccanismi teatrali del 2020, Teatrino invisibile, del 2020, Spectaculum del 2022, Theatre-Z6 del 2020, Residui del grande apparato scenico, del 2020, Teatrino delle nuvole del 2006, Teatrini, del 2016). Anche nel ciclo di opere Segnale la “messa in scena” è uno degli elementi fondamentali (le opere su tela non sono appese al muro ma montate su delle cornici di ferro fissate su delle basi al centro della sala). Sulle tele di questa serie compaiono spesso singole parole (la più frequente è “fragile”) che mettono in risalto, quindi, la domanda di una complicità da parte dello spettatore. Quelle di Visca sono opere concepite e realizzate per mettere in atto un dialogo con lo spettatore e per innescare una riflessione su quei miti del nostro tempo che costituiscono, a loro volta, il tessuto della vita sociale, assurta a fondamento della condizione umana, segnata inevitabilmente dalla fragilità (come testimonia la ricorrente parola “fragile”). “In un mondo frammentato Visca invita a ricostruire una dimensione umana più condivisibile, superando l’indifferenza e la distruzione dei valori contemporanei. Il maestro, simile a uno sciamano, cuce parole, colori e forme, guardando al futuro attraverso le pieghe della storia” scrive giustamente il presidente della fondazione Pescarabruzzo Nicola Mattoscio.
Chi non avesse avuto la possibilità di andare alla mostra (tra l’altro a ingresso gratuito), avrà la possibilità di leggere il catalogo completo corredato da un intervento critico del curatore e un’ampia biografia dell’artista.
L’autore: Lorenzo Pompeo è slavista, traduttore, scrittore, docente universitario