La manovra approda al Senato. 30 miliardi di euro previsti per il 2025, che potrebbero essere già licenziati domani, giusto in tempo per preparare le valigie e spedire i nostri valorosi parlamentari alle mete turistiche dove trascorrere il Capodanno.
La pantomima è iniziata il 23 ottobre, perfino in linea con i tempi. Questi due mesi sono trascorsi tra i bambineschi litigi della maggioranza per rivederne insignificanti particolari utili solo per la propaganda. Una discussione grave, ma mai seria. Sugli ordini del giorno, i partiti di governo si sono sfidati sulle mance di contorno, come gli affamati invitati quando si buttano sul buffet.
Nessuna discussione sulla reale efficacia delle misure è stata messa in discussione da diversi analisti, vaghe risposte sulla mancanza di misure a sostegno della povertà, nessuna spiegazione sulla prevista “bastonata” al ceto medio, e soprattutto l’intoccabile privilegio degli straricchi.
In commissione al Senato si è discusso della manovra per quindici minuti, poi si è deciso di portarla in Aula. Ovviamente la votazione sarà blindata: nessuna modifica è consentita, e all’opposizione verrà lasciato giusto il tempo di fotografare le proteste per offrirle ai giornali.
Il governo Meloni è l’ennesimo a trattare il Parlamento come un’appendice burocratica da cui si pretende solo sveltezza per ratificare decisioni già prese. Giorgia Meloni, quand’era all’opposizione, lamentava la “mancanza di democrazia” e lo “svilimento del Parlamento”. Sono solo ruoli in commedia. Anche quest’anno la manovra finanziaria è un capolavoro di ragioneria passato sopra le teste della politica.
Buon venerdì.