I manager sono sempre più ricchi, secondo i dati del rapporto Mercer. Si continua a premiare i vertici aziendali come se fossero dei moderni re Mida, ignorando che il loro tocco magico si basa sul sudore e sul sacrificio dei lavoratori

La forbice tra i salari dei dirigenti e quelli dei lavoratori non si allarga: si spalanca. Lo raccontano i numeri di un mondo che continua a premiare i vertici aziendali come se fossero dei moderni re Mida, ignorando che il loro tocco magico si basa sul sudore e sul sacrificio di chi sta alla base. I dati pubblicati nel rapporto Mercer di novembre 2024 non lasciano spazio a interpretazioni: nel 2022, i compensi dei Ceo delle maggiori aziende globali sono cresciuti di un ulteriore 9%, mentre gli stipendi dei lavoratori arrancano dietro l’inflazione. La disparità è così marcata che ormai sembra quasi naturale, come se fosse inscritta in qualche legge universale. Ma naturale non è.

La chiamano meritocrazia ma è una distorsione pianificata. Non si può chiamare “premio” la concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi quando i lavoratori, spesso definiti “il cuore dell’azienda” nei discorsi ufficiali, vedono il loro potere d’acquisto ridursi ogni anno. E mentre i Ceo ricevono bonus milionari, i loro dipendenti fanno i conti con l’incertezza, costretti a barcamenarsi tra affitti insostenibili e bollette in aumento.

È l’essenza stessa di questo sistema a essere corrotta. Si chiama capitalismo, ma è sempre più simile a un feudalesimo mascherato, in cui pochi baroni accumulano ricchezze su scala globale e il resto del mondo si accontenta delle briciole. La narrazione che celebra i grandi manager come geni solitari ignora volutamente il ruolo collettivo del lavoro, riducendo la forza di milioni di persone a una nota a margine.

Questa meritocrazia è una truffa. 

Buon lunedì.