In Italia alcuni giornalisti e attivisti (sette in tutto) sono stati spiati con uno spyware dell’azienda Paragon. I giornalisti e gli attivisti intercettati sono tutti identificabili come “avversi” al governo, nella logica da stadio che il governo stesso alimenta fin dal suo insediamento. Persone poco gradite e spiate.
Il governo nega qualsiasi responsabilità, dicendo di non saperne nulla. Gli spiati vengono avvisati da Meta, con un messaggio WhatsApp.
Il Guardian scrive che, in seguito a questo, Paragon Solutions ha stracciato il contratto con l’Italia. Netta la smentita pubblica giovedì 14 marzo: «Nessuno ha rescisso in questi giorni alcun contratto con l’intelligence». Non passano 24 ore e il 15 marzo invece viene comunicato lo stop.
Poi si scopre che lo spyware Graphite non sarebbe stato utilizzato solo dai servizi segreti, che si avvalgono dei più efficaci dispositivi sul mercato, ma anche da un’altra forza di polizia.
Tutte le forze di polizia smentiscono, tranne la Penitenziaria. I servizi – l’Aise – confermano di usarlo, ma non contro giornalisti e attivisti. Il Pd e Italia Viva chiedono al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di confermare l’eventuale utilizzo dello spyware da parte delle procure e della polizia penitenziaria.
«Le uniche notizie divulgabili sulla vicenda Paragon sono già state fornite dal governo. Il resto non è divulgabile». Lo scrive il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano.
Quindi niente question time. Non è possibile sapere.
Buon mercoledì.