Quando la destra svedese decide di chiedere scusa per i suoi legami con il neonazismo, lo fa con un libro bianco di 900 pagine. È la quantità, non la qualità, a raccontare l’ingombro. Un’operazione di “trasparenza” che puzza di marketing elettorale, nel momento esatto in cui i Democratici Svedesi si preparano a rivendicare un posto stabile al governo. Le parole del leader Akesson sono precise: parla di “malessere”, non di colpa; si dichiara “disgustato”, ma non responsabile. Si scusa, ma non si dimette.
E allora il punto è proprio questo: se la vergogna arriva quando conviene, non è vergogna, è strategia. Se i conti con il passato si fanno in pubblico ma si mantengono inalterati i pregiudizi verso le minoranze — come denuncia il Comitato per la lotta all’antisemitismo — si sta solo riciclando il proprio profilo, senza toccare il cuore ideologico. L’antisemitismo, i rapporti con i gruppi come “Resistenza bianca ariana”, l’odio sottile e selettivo verso gli altri: tutto questo non sparisce con una dichiarazione, né con un rapporto storico. Si cancella solo cambiando rotta, non aggiustando la narrazione.
Il problema, però, non riguarda solo la Svezia. Riguarda ogni forza politica che cerca la rispettabilità indossando il lutto. Riguarda chi tenta di scavalcare la propria storia con una conferenza stampa. E riguarda noi, che troppo spesso accettiamo le scuse senza verificare cosa resta dopo averle pronunciate.
Buon lunedì.




