Le società e le democrazie si “rompono” quando i principi di umanità, per quanto fragili e incerti, su cui si basano vengono messi in crisi da chi non conosce altro che il mors-tua vita-mea come pensiero di rapporto con gli altri. Sta a tutti noi tenere gli occhi aperti

La domanda che questi tempi portano con sé io credo che sia semplicemente: è possibile pensare che una “società ideale” possa realmente esistere? Oppure no, si tratta solo di un’utopia nel senso che qualunque società prima o poi diventerà ingiusta e violenta verso alcuni, che siano parte di essa o meno? La storia degli Stati moderni, a partire dalla promulgazione delle carte costituzionali che hanno garantito diritti fondamentali ai “cittadini” ci dice che le società hanno un’evoluzione, potremmo dire sono un qualcosa di vivo che si forma e si trasforma nel tempo, sulla base della cultura del tempo e della sapienza e conoscenza del mondo e degli altri.

L’attività politica di gestione della cosa pubblica che la società, intesa come stare insieme, realizza dovrebbe sempre astrattamente basarsi su un’idea di bene collettivo, di cercare di fare ciò che è meglio per tutti, ciò che permette non solo di sopravvivere, nel senso di soddisfazione dei bisogni di ognuno, ma anche di vivere nel senso di cercare una soddisfazione delle “esigenze” di realizzazione umana. Questo aspetto, apparentemente poco importante e spesso dato per scontato, in realtà è forse il pilastro di una società sana.

Perché non è in nessun modo pensabile un benessere che sia soltanto materiale. La realtà degli esseri umani è ben di più che avere soddisfatte le condizioni minime relative ai bisogni materiali. È fatta di relazioni con gli altri, di affetti, di pensiero e fantasia, di voler sapere e conoscere sempre di più e meglio ciò che ci appassiona, avere la libertà di poter fare una propria ricerca. La società ideale è quella collettività nella quale si riesca a realizzare la propria esistenza dando ad essa un “senso” reale e profondo.

Ma tale realizzazione evidentemente richiede di comprendere cosa sia il senso dell’essere al mondo. Non è possibile alcuna politica realmente umana se non si comprende l’essere umano. Questo lo hanno ben chiaro i politici di matrice religiosa che basano la propria comprensione, la propria verità sull’essere umano, sul pensiero religioso. È esso che stabilisce cosa sarebbe o non sarebbe l’essere umano e di conseguenza qual è il senso del suo essere al mondo. Allo stesso modo le altre formazioni politiche si ispirano a principi che hanno al fondo un’idea di essere umano. Senza andare a scomodare i principi che sono (o che dovrebbero) essere quelli della sinistra, limitiamoci a pensare di voler cercare dei principi nuovi, cercare di trovare cosa è che fa uno stare insieme che permette la realizzazione profonda e piena dell’essere umano. L’evoluzione della conoscenza umana nel corso della storia ha portato con sé, nel tempo, a concezioni sempre nuove della realtà dell’essere umano.

Perché quando si realizza qualcosa di nuovo fuori di sé questo poi porta sempre ad una realizzazione nuova dentro di sé. E questi pensieri nuovi su di sé e gli altri, hanno portato a rivoluzioni sociali e politiche.

Si pensi ad esempio alla rivoluzione scientifica di Keplero, Galileo e Newton: un mondo sempre pensato come bidimensionale (la terra) e del tutto diverso da ciò che era nel cielo improvvisamente diventa tridimensionale perché a ciò che è nel cielo si applicano le stesse leggi che valgono sulla terra. Ciò che era inconoscibile diventa quindi qualcosa che si può studiare e conoscere. E andando indietro nel tempo si pensi alla scoperta dell’America: non è tanto la terra sferica ma la scoperta di un intero nuovo continente sconosciuto, infiniti oceani e terre da esplorare e conoscere. Lo spazio esterno aumenta enormemente e così, possiamo pensare, lo spazio interno, le possibilità di pensiero dell’essere umano dopo la scoperta di Colombo. Quanto della rivoluzione scientifica è dovuto a quella scoperta, a quelle possibilità di pensiero che prima non c’erano?

La conoscenza del nuovo, di ciò che era considerato inconoscibile permette di realizzare qualcosa dentro di sé che va oltre la conoscenza del nuovo. Diventa una realizzazione di nuove possibilità, di una nuova fantasia. Possibilità di immaginare qualcosa che prima non era possibile immaginare.

Ma ogni novità, ogni pensiero nuovo, scatena anche la disperazione, la solitudine, l’invidia e l’odio di chi non comprende, di chi non ce la fa ad accettare il nuovo. Di chi pensa di perdere tutto ciò che sa e che è, da chi rischia di perdere la propria identità. Sono quelli che cercano di riportare indietro l’orologio della storia, cercano di negare la realtà di scoperte che sono per il benessere dell’umanità, per la ricerca di un vivere insieme che sia un vita-tua vita-mea. Non comprendere fa una disperazione che è cieca e violenta e dice bugie pensando siano verità. Le bugie allora diventano verità alternative e la realtà umana che è per la conoscenza e il rapporto non esiste più. Gli altri che non sono come noi non sono più, in realtà, esseri umani e possono quindi essere eliminati, come se non fossero mai esistiti. Una lotta tra vedere e non vedere, tra pensare e credere, tra volere la realizzazione dell’altro che è anche la propria o volere il fallimento dell’altro perché non si è capaci di avere rapporto con il nuovo. Ora come fare per tradurre in concreta azione politica quelle che possono apparire come idee astratte?

Io penso si possa iniziare cercando di individuare quali sono i pensieri, più o meno nascosti, che guidano l’azione politica. Bisogna poi considerare che tutti abbiamo una grande sensibilità nel cogliere il significato delle cose che accadono e delle parole che vengono dette. E quindi quanto quei pensieri, più o meno nascosti, siano veicolati latentemente dall’azione politica. Possiamo così trovare nuovi argomenti per opporci a ciò che ci appare certamente ingiusto anche se non riusciamo a capire esattamente il perché, al di là di un astratto principio morale. Dobbiamo trovare dei principi umani, non negoziabili, e di conseguenza individuare tutto ciò che è inumano. Allora potremo forse affermare di poter fare una politica nuova perché essa sarà coerente con la realtà umana.

Per tornare al concetto di società ideale si possano fare alcuni esempi concreti andando a vedere cosa sappiamo che non funziona nelle società moderne e cercando di individuare il perché, cercando di leggere il latente. Per esempio, l’idea di una sanità non universale, che quindi sia solo per alcuni e non per tutti viola il principio di uguaglianza degli esseri umani tra loro perché propala l’idea di alcuni che sarebbero meglio di altri. Un principio per cui bisogna meritarsi di essere curati e assistiti. Un’idea in realtà molto poco nascosta che veicola un pensiero per cui chi proviene da origini umili, chi è immigrato, chi non ha possibilità economiche è “meno” di chi invece quelle possibilità ce l’ha. Ci sarebbe un umanità di serie A e una di serie B. Per questo una sanità universale e pubblica è fondamentale. Non solo come presidio sanitario ma come presidio culturale e politico. Potremmo anche dire che una sanità che non rispetta il principio di universalità viola l’articolo 3 della Costituzione.

L’idea di una sanità privata porta con sé anche l’idea che la cura è a discrezione dell’operatore sanitario. C’è un evidente conflitto di interessi se c’è un interesse privatistico del medico o della struttura sanitaria a mantenere il paziente malato più a lungo.

La cura dell’altro non può sottostare ad un principio di profitto nella misura in cui quel profitto diventa approfittarsi dell’altro e della sua libertà (fintantoché rimane malato), cioè in altre parole diventa un mors-tua vita-mea. Altro esempio possibile è quello della scuola: aggiungere accanto a istruzione la parola merito porta con se l’idea che la scuola deve classificare e categorizzare gli studenti con lo scopo non di dare possibilità ad ognuno sulla base delle proprie peculiarità e differenze ma sulla base di un principio di “migliore-peggiore” per cui solo i migliori avranno tutti i diritti, gli altri ne avranno meno e gli ultimi non ne avranno nessuno. Un principio di disuguaglianza che è esattamente il contrario di quell’uguaglianza originaria che tutti noi abbiamo spontaneamente dalla nascita e che ci porta a cercare il rapporto con l’altro diverso da noi. Un principio che porta con sé un’idea di competitività del tutto sterile che vuole dire ai ragazzi che sono da soli e che devono combattere con i propri simili per realizzare se stessi. Un’idea terribile e soprattutto completamente falsa e che perciò determina malessere in chi la subisce, anche, e forse soprattutto, nei primi della classe. Le società e le democrazie si “rompono” quando i principi di umanità, per quanto fragili e incerti, su cui si basano vengono messi in crisi da chi non conosce altro che il mors-tua vita-mea come pensiero di rapporto con gli altri. Sta a tutti noi tenere gli occhi aperti e cercare di individuare quando azioni politiche apparentemente poco importanti sono in realtà portatrici di pensieri latenti pericolosi, che hanno dentro di sé il germe dei società basate sulla discriminazione e sulla violenza.

Illustrazione di Fabio Magnasciutti