Nel suo nuovo libro Fabio Stassi racconta i roghi dei libri e ci ricorda che leggere significa resistere, perché chi legge non può essere sottomesso. Il 19 settembre l'incontro con l'autore a Pordenonelegge

La letteratura fa paura al potere? Possono i libri essere considerati una seria minaccia all’ordine costituito, tanto da essere eliminati fisicamente, bruciati in piazza perché tutti vedano e capiscano? Ebbene sì, questo è ciò che ci consegna la storia, ed è l’argomento dell’ultimo libro di Fabio Stassi, Bebelplatz. La notte dei libri bruciati, pubblicato da Sellerio (il 19 settembre Stassi lo presenta a Pordenonelegge). Organizzato in cinque parti, il libro combina elementi di saggistica storica, diario personale e reportage, ed è accompagnato, in apertura, da una nota critica di Alberto Manguel e, in appendice, da una cronologia ragionata dei roghi di biblioteche e di libri dall’antichità ai giorni nostri (il primo censito è quello della biblioteca di Tebe del 1358 a.C.), oltre che da un puntuale apparato di note. Quella di Stassi è la storia di un viaggio in Germania per un ciclo di conferenze negli istituti italiani di cultura, che si trasforma nell’innesco di una ricerca nel passato – più e meno recente . dei fantasmi e degli orrori che hanno segnato la nostra storia, caratterizzata nei secoli da una dichiarata e plateale ostilità nei confronti della cultura, e in particolare di uno dei suoi simboli più forti: il libro. A Bebelplatz, nel centro di Berlino, il 10 maggio del 1933 a mezzanotte, migliaia di libri vengono dati alle fiamme. Il gran cerimoniere è Joseph Goebbels, ministro del Reich per la Propaganda e l’Istruzione pubblica, che celebra la nascita dell’uomo nuovo tedesco, che dei libri non avrà mai più bisogno. È un potentissimo atto simbolico, che darà il via alla distruzione di un intero continente: nel giro di pochi anni, l’Europa verrà avvolta dalle fiamme e diventerà un cumulo di cadaveri e macerie. Durante il suo viaggio, Stassi visita anche città tedesche che, come Amburgo, furono distrutte dai bombardamenti inglesi; nell’ambito della devastante Operazione Gomorrah, gran parte della città fu rasa al suolo, causando circa cinquantamila vittime civili. È evidente come il viaggio-ricerca di Stassi non si fermi al passato, ma guardi anche al presente, poiché si svolge mentre infuria la guerra in Ucraina — a causa dell’aggressione russa — e poco prima dell’inizio della carneficina di Gaza. In questo contesto, l’autore si interroga sul ruolo della memoria e sulla difficoltà, o l’incapacità, di elaborare il lutto collettivo di fronte alle distruzioni di massa compiute anche dagli anglo-americani durante la Seconda guerra mondiale. A guidarlo è il pensiero di W.G. Sebald, che parlò di un vero e proprio “processo sociale di rimozione”. Ed è proprio sulla scia di Sebald che Stassi scrive:<>. Come a voler dire che la guerra è sempre morte, distruzione e dolore; e che non ha colore – soprattutto per chi la subisce. Nel cuore del libro, Fabio Stassi dedica un’ampia e intensa riflessione a cinque autori italiani che finirono nelle liste nere del regime nazista: quattro uomini e una donna, ognuno a suo modo rappresentante di una forma di libertà che il potere non poteva tollerare. Il primo è Pietro Aretino, figura centrale della cultura rinascimentale, autore irriverente dei Sonetti lussuriosi, che fece della parola uno strumento di sfida all’ipocrisia e ai moralismi del tempo. Ma Aretino fu anche un autore di testi biblici e agiografici, a conferma della sua complessità intellettuale. Fu visto come sacrilego e miscredente, condannato tanto dalla Chiesa quanto, secoli dopo, dal nazismo, che in lui riconobbe il simbolo di una libertà eversiva, scomoda e inassimilabile. Giuseppe Antonio Borgese, siciliano delle Madonie e cittadino del mondo, rifiutò il giuramento imposto dal regime e scelse l’esilio negli Stati Uniti. Lì, oltre a proseguire la sua attività culturale, sposò Elisabeth Mann, molto più giovane di lui, figlia di Thomas Mann. Utopista, europeista ante litteram, Borgese rappresentava una cultura della pace e del dialogo che mal si adattava alle logiche del totalitarismo. Poi c’è Emilio Salgari, grande scrittore e viaggiatore dell’immaginazione. La sua opera, apparentemente d’intrattenimento, custodiva in realtà una visione profondamente antimperialista, capace di rovesciare le gerarchie tra colonizzatori e colonizzati. Non a caso, fu letto e celebrato in Sudamerica come una voce di riscatto, e per questo percepito dai regimi come un autore pericoloso, perché capace di ispirare identità e resistenza. Ignazio Silone, che, dopo aver lasciato l’Italia, elesse a sua patria Zurigo, città di esuli celebri come James Joyce, fu un altro esempio di intellettuale indomabile. Comunista eretico, antifascista convinto, scelse sempre la libertà anche a costo dell’isolamento politico. La sua opera più famosa Fontamara venne apprezzata e promossa, tra gli altri, da Carlo Rosselli; dopo un iniziale ostracismo andrà incontro a al successo internazionale, diventando uno dei romanzi antifascisti più letti al mondo.

Chiude la rassegna Maria Assunta Volpi Nannipieri, l’unica donna della lista, figura oggi poco nota ma sorprendente per modernità. Giornalista e scrittrice, incontrò e raccontò Joséphine Baker, la celebre “Venere nera” del music hall parigino, rompendo tabù legati al corpo femminile, alla razza e al desiderio. Nei suoi romanzi, per lo più di genere rosa, emerge una rivendicazione di autonomia e piacere, che mette al centro la libertà delle donne, non come concessione, ma come diritto inalienabile (la pietra dello scandalo fu il suo libro intitolato Sambadù, amore negro, pubblicato da Rizzoli). Per questo venne censurata. Attraverso i loro esempi, e un significativo excursus letterario che tocca autori come Ovidio, Cervantes (l’autore ci invita a riaprire la biblioteca di Don Chisciotte), Hannah Arendt e Elsa Morante, il lavoro di Stassi si configura come un’appassionata difesa della trasgressione e del potere sovversivo e ribelle della lettura — ma soprattutto dei lettori e delle lettrici, autentici “pericoli” per ogni potere, terribilmente temuti perché liberi per costituzione. Il libro si conclude con una splendida definizione della letteratura, ispirata da Leonardo Sciascia e da un ricordo del padre dell’autore:<>. Alla fine del suo viaggio, dunque, Fabio Stassi ci rammenta che il compito di non far spegnere quest’ultima candela spetta a tutti noi.

 

In apertura, rogo di libri a Berlino nel 1933 foto wp

 

’autore: Pierluigi Barberio è docente e autore del libro Luciano Bianciardi. Scrittore e uomo libero (Momo edizioni), con Illustrazioni di Marco Petrella