Cono Sur, da un golpe riuscito a un golpista condannato. Nell’anniversario del colpo di Stato in Cile, avvenuto l’11 settembre 1973, che rovesciò e portò alla morte il presidente Salvador Allende, la Corte Suprema brasiliana ha votato a favore della colpevolezza dell’ex presidente Jair Messias Bolsonaro, accusato, assieme ad ex ministri e alti ufficiali dell’esercito, di aver orchestrato un tentato colpo di Stato, dopo la sconfitta elettorale del 2022.
La sentenza ha tenuto conto dell’età di Bolsonaro (oltre 70 anni), che ha garantito un piccolo sconto di pena, ma il suo ruolo di leader dell’organizzazione criminale ha portato a una condanna più severa rispetto a quella degli altri imputati.
La Corte Suprema ha stabilito che l’ex presidente inizi a scontare la pena in regime di reclusione, ovvero che Bolsonaro debba essere condotto in un istituto penitenziario o in una struttura speciale come una cella della Polizia Federale. Tuttavia, non è stato ancora deciso dove verrà trasferito.
La decisione segna un momento storico per il Brasile, non solo perché è la prima volta che un ex capo di stato viene giudicato per reati di tale gravità, ma per la presenza nel banco degli imputati di generali che avevano preso parte, attivamente, del regime militare del 1964, come Augusto Heleno Ribeiro Pereira, ex ministro del Gabinetto di Sicurezza Istituzionale (GSI) del governo Bolsonaro, ora condannato a 21 anni di carcere.
I reati sono tentato golpe, criminalità organizzata, abolizione violenta dello stato di diritto, danneggiamento aggravato e deterioramento del patrimonio storico, alcuni previsti nella Costituzione del 1988.
L’abolizione violenta dello Stato di diritto e il colpo di Stato, invece, non erano stati regolamentati fino al 2021, quando il Parlamento l’ha votata in fretta e furia, timoroso per la deriva autoritaria presa da Bolsonaro nel corso della pandemia.
L’approvazione della legge 14.197/2021 sui reati contro la democrazia, avvenne con l’obiettivo di impedire a Bolsonaro di utilizzare la legge che era ancora in vigore dagli anni del regime militare e che, in casi eccezionali, permetteva al presidente della Repubblica di violare le regole del sistema politico per mantenersi al potere, o ampliarne a dismisura i propri. Bolsonaro, nonostante le pene durissime firmò.
Quindi, secondo la Procura, l’ex presidente avrebbe guidato un’organizzazione criminale volta a sovvertire il sistema democratico e a mantenersi al potere.
Il piano prevedeva, tra le altre cose, l’imposizione dello stato d’assedio e l’uccisione di figure istituzionali, tra cui l’attuale presidente Luiz Inácio Lula da Silva, il suo vice Geraldo Alckmin e il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes, relatore del processo.
La condanna da parte del collegio della Corte Suprema è arrivata dopo un lungo e attento esame delle prove, iniziato due anni fa.
La sentenza della Corte Suprema si aggiunge alle già esistenti restrizioni a carico di Bolsonaro. Dichiarato ineleggibile per otto anni nel giugno 2023 per aver diffuso disinformazione sul sistema elettorale, l’ex presidente è agli arresti domiciliari dal 5 agosto scorso, dopo aver violato le misure cautelari.
La sua difesa, che lo ha sempre dichiarato innocente e vittima di una “persecuzione politica”, ha citato problemi di salute per giustificare la sua assenza dalle udienze finali del processo.
L’intero iter giudiziario si è svolto in un clima di grande tensione e con un rafforzato dispositivo di sicurezza nella Praça dos Três Poderes a Brasilia, luogo che fu teatro dell’assalto da parte dei sostenitori di Bolsonaro l’8 gennaio 2023.
Oltre a Bolsonaro, e il generale Augusto Heleno Ribeiro Pereira, le pene maggiori sono state assegnate all’ex ministro della Difesa Walter Braga Netto, arrestato lo scorso dicembre per intralcio alla giustizia, condannato a 26 anni di carcere, all’ex ministro della Giustizia Anderson Torres e all’ex comandante della Marina Almir Garnier, condannati a 24 anni di carcere ciascuno.
La strategia difensiva dell’ex ministro della Difesa Paulo Sérgio Nogueira, che aveva ammesso di aver provato a dissuadere Bolsonaro di proseguire nell’intento di rovesciare il sistema democratico, non ha funzionato: condannato a 19 anni di carcere. Alexandre Ramagem, oggi deputato federale, ma a capo dei servizi segreti di allora, sconterà 16 anni e 1 mese di carcere per avere ordinato la sorveglianza illegale e la creazione di dossier contro gli oppositori politici di Jair Bolsonaro, generando un clima di persecuzione e di odio contro comuni cittadini, artisti e dipendenti statali, non allineati al governo.
Mauro César Cid, il tenente colonnello dell’Esercito scelto da Bolsonaro come aiutante di campo, divenuto collaboratore di giustizia, sconterà la pena di 2 anni in regime aperto. Figlio di un generale dell’esercito, compagno di Bolsonaro ai tempi in cui frequentava l’Accademia militare, nell’accordo di delazione premiata, Cid mise come condizione per la sua confessione il diritto a una scorta per moglie, figlie e genitori.
Nel mese di giugno parte della famiglia ha lasciato il paese verso gli Stati Uniti.
La difesa di Bolsonaro e degli altri imputati ha dichiarato che farà ricorso contro la sentenza, definendo le pene “eccessive e sproporzionate”.
Tuttavia, la condanna da parte del collegio della Corte, per quattro voti contro uno, è di per sé un passo significativo e un messaggio forte a difesa della democrazia brasiliana.
L’esito di questo storico processo avrà sicuramente un impatto profondo e duraturo sul futuro del paese, come auspica la giudice della Corte, Carmen Lúcia Antunes Rocha.
Nel suo voto, fondamentale alla condanna degli imputati, la giudice ha affermato che in nessun luogo al mondo “si è immuni dal virus dell’autoritarismo”, che si insinua insidiosamente “diffondendo il suo veleno e contaminando le libertà e i diritti umani” ma che, in Brasile, dopo successivi colpi di Stato, avvenuti sin da quando divenne una Repubblica, nel 1889, il mantenimento democrazia è oggi una priorità.
L’atmosfera politica rimane incandescente, specialmente in vista delle prossime elezioni presidenziali del 2026.
L’esito del processo e la reazione degli Stati Uniti
Dopo aver imposto pesanti dazi doganali al Brasile, pur di sostenere l’alleato Bolsonaro e l’estrema destra brasiliana, il presidente statunitense Donald Trump ha commentato la condanna di Bolsonaro, ritenuto da lui un “buon presidente” dicendosi “sorpreso” del risultato. “È molto simile a quello che hanno cercato di fare con me, ma senza riuscirci”, ha detto Trump.
Il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha pubblicato un messaggio sul social network X promettendo reazioni contro “le persecuzioni politiche” del giudice Alexandre de Moraes e degli altri giudici della Corte Suprema per avere “condannato ingiustamente l’ex presidente Jair Bolsonaro”.
“Gli Stati Uniti risponderanno in modo appropriato a questa caccia alle streghe”, promette Rubio. Forti dell’appoggio statunitense, il Partido Liberal, di Bolsonaro, sostiene l’amnistia che mira a favorire l’ex presidente e i detenuti e condannati per gli attacchi dell’8 gennaio 2023. Alle prime avvisaglie della condanna, il governatore di San Paolo, l’ingegnere militare Tarcísio de Freitas, considerato dall’estrema destra un forte candidato alla presidenza, ha aumentato gli attacchi alla Corte Suprema.
Pur di accalappiare gli orfani più radicali del presidente estremista, Freitas si è dichiarato trumpiano convinto, sostenitore del movimento Maga e del governo Netanyahu, nonostante lo storico di azioni genocidarie in corso a Gaza, mettendo a repentaglio la sua immagine moderata e il sostegno nei confronti del mondo dell’imprenditoria, fortemente danneggiato dai dazi. Così come il generale condannato Augusto Heleno Ribeiro Pereira, Tarcísio de Freitas ha preso parte alla sanguinosa operazione di peacekeeping Minustah, ad Haiti.




