C’è sempre qualcuno, nei palazzi del potere, pronto a scandalizzarsi se gli si ricorda che ha le mani sporche di sangue. Ministri, premier, presidenti: tutti indignati, tutti pronti a dire che “non è vero”, che loro chiedono pace, che loro non c’entrano. Ma Gaza City oggi è invasa dai carri armati israeliani, i quartieri vengono sbriciolati, e migliaia di famiglie fuggono a piedi con il cielo arancione di bombe sopra la testa. Le mani sporche non sono un’opinione: sono un fatto scolpito nelle macerie.
A Doha, i Paesi arabi e musulmani riuniti in vertice straordinario accusano Israele di crimini di guerra e sabotaggio dei negoziati. Il Qatar chiede sanzioni e misure concrete, l’Egitto e la Turchia spingono per una linea dura. È la prima risposta coordinata, ma intanto i bombardamenti continuano. E in Occidente? Si ricorre alla solita formula: “moderazione”. Una parola che pesa come una pietra, perché tradotta significa complicità.
In Israele, le famiglie degli ostaggi parlano di “710ª notte”, forse l’ultima. Accusano Netanyahu di sacrificare i loro figli per calcoli politici, mentre l’esercito intensifica l’operazione proprio nelle aree dove potrebbero trovarsi. La politica usa i vivi e i morti come pedine, e lo fa senza pudore.
E poi ci sono i governi occidentali, quelli che si offendono quando li accusi di complicità. Parlano di diritti umani nei salotti, ma intanto firmano contratti miliardari con le stesse industrie che armano l’assedio. Fingono neutralità mentre scelgono sempre da che parte stare: dalla parte del business. Gaza brucia, i bambini muoiono, i palazzi si sbriciolano. E loro, con la faccia pulita davanti alle telecamere, si fingono innocenti. La verità è che complici lo sono davvero. Ogni loro lacrima è finta, ogni condoglianza è veleno, ogni parola di “preoccupazione” è benzina gettata sul fuoco. Gaza oggi è il loro specchio: e il riflesso è quello di un mondo marcio.
Buon martedì.




