New York, 24 settembre. Donald Trump ha trasformato l’Assemblea generale dell’Onu nel palco di un comizio. Per 57 minuti ha ripetuto il suo repertorio: Europa «invasa» dai migranti, rinnovabili «barzellette», il clima «la più grande truffa», Nazioni unite inutili. La platea però non era un’arena elettorale: era il podio che regge l’architettura del diritto internazionale.
La novità sta tutta qui. Dalla massima tribuna globale ha teorizzato Trumplandia: frontiere chiuse, dazi come arma, idrocarburi come destino, diritti condizionati da censo e appartenenza. Uno stato d’eccezione permanente che pretende obbedienza e archivia il multilateralismo come debolezza.
Trump non intimidisce: inganna. È più ballista che bullo. Elenca successi immaginari («ho fermato sette guerre»), ammicca al «clean beautiful coal», finge di non sapere che la crisi climatica significa esondazioni e siccità, e propone all’Europa la scorciatoia dei fossili americani spacciandola per salvezza. Intanto trasforma i migranti in nemico interno, collante di paure e scudo per concentrare potere.
Lo schema è collaudato: gonfiare un’emergenza, indicare un colpevole, promettere ordine a colpi di decreti e dazi. Il green diventa capro espiatorio, i profughi una minaccia totale, la diplomazia un intralcio al business. Così le bugie non servono solo a convincere: servono a governare, spostano risorse, ridisegnano priorità, autorizzano abusi.
Rancori privati diventano dottrina. Dalla ristrutturazione mancata del Palazzo di Vetro ai «teleprompter rotti», ogni dettaglio diventa prova dell’inefficienza altrui. Il messaggio è programmatico: «seguitemi, o andate all’inferno». Sull’Ucraina, poco più di un cenno autocelebrativo; sull’Onu, l’ennesimo ultimatum mascherato da pragmatismo.
Le parole hanno conseguenze. Dazi «molto forti», via libera alle trivelle, criminalizzazione dei migranti, delegittimazione delle istituzioni comuni: è un’agenda che arretra su clima e asilo, normalizza l’eccezione, monetizza il futuro. Quando il presidente degli Stati Uniti chiama «bufala» il riscaldamento globale, la menzogna si incolla alle politiche.
Per questo oggi il punto non è replicare agli insulti. È rigenerare la responsabilità: fatti verificati, regole condivise, alleanze sociali e politiche che non barattano la verità con l’applauso. Il bullo si nutre di paura; il ballista di credulità. A entrambi si risponde smontando, con pazienza e dati, la favola che vendono. Tutto il resto è rumore.
Buon mercoledì
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