All’Assemblea generale dell’Onu Giorgia Meloni ha recitato un copione già scritto: quello di Donald Trump. Sedici minuti di discorso in italiano, davanti a una platea semivuota, per ripetere le litanie del trumpismo tradotte in salsa tricolore. Sul genocidio a Gaza, la formula è la più comoda per Tel Aviv: Israele avrebbe «superato il limite del principio di proporzionalità». Non un crimine di guerra, ma un eccesso di difesa, così si diluisce la strage di decine di migliaia di civili in un inciampo tecnico.
Dalla guerra all’ambiente: qui Meloni diventa perfetta ventriloqua. L’“ecologismo insostenibile” colpevole di aver distrutto l’industria automobilistica europea, l’Onu inadeguata, le convenzioni sui migranti “anacronistiche” da riscrivere perché ostacolate da giudici politicizzati. Ogni concetto riprende parola per parola il lessico della Casa Bianca trumpiana. Con una costante: mai citare i diritti, sempre invocare i confini, la forza, la sovranità.
Il paradosso è che mentre invoca «pace, dialogo e diplomazia», in patria governa con l’economia di guerra e firma forniture di armi. Meloni si fa chiamare “madre cristiana” sul palco dell’Onu, ma scambia la fede con l’ideologia dei crociati contemporanei: l’Occidente assediato, i migranti come minaccia, i palestinesi ridotti a pedine sacrificabili.
Resta l’immagine: una premier che usa l’arena internazionale non per costruire ponti, ma per inseguire il suo padrino politico d’Oltreoceano. Un ventriloquo ha bisogno di un pupazzo: qui il pupazzo è l’Italia.
Buon venerdì.




