Posso parlare della Macedonia del Nord con cognizione di causa, perché d’estate frequento Ohrid, un’antica città (dichiarata patrimonio Unesco) sull’omonimo lago per fortuna ancora (forse per poco) fuori dalle rotte del turismo di massa. Skopje, dove ero già stato qualche anno fa, mi aveva già colpito per la sua singolarità dovuta a una particolare circostanza: il terremoto del 1963 che distrusse l’80% della città. Erano gli anni d’oro dell’esperimento jugoslavo e così architetti rinomati a livello mondiale (tra gli altri il giapponese Kenzo Tange) diedero alla nuova città un volto nuovo, moderno, che nulla aveva a che vedere con le tradizioni locali. L’unica parte della capitale che ha conservato il volto tradizionale anche oggi è quella del mercato, la Čaršija o Stari Bazar (Vecchio Bazar), abitata in prevalenza da albanesi, turchi e rom. Questo quartiere caratteristico, con i vicoli lastricati, le botteghe e le moschee, è circondato dagli edifici ricostruiti secondo i principi del brutalismo (grandi superfici con cemento a vista) portato ai suoi estremi. A ciò si devono aggiungere i numerosi monumenti (il più bizzarro: quello alla maternità che sorge alle porte della città vecchia, con statue dorate monumentali di donne che allevano la prole), sorti a partire dal 1991 (l’8 settembre 1991, in seguito a un referendum popolare, la Repubblica di Macedonia dichiarò l’indipendenza), le statue colossali di eroi (tra cui ovviamente quella di Alessandro Magno), ma anche di intellettuali, scrittori e artisti che diedero lustro alla lingua macedone (che però i bulgari continuano a considerare un dialetto del proprio idioma). Questo caleidoscopio di immagini così contrastanti è forse la migliore rappresentazione delle contraddizioni, da cui sorgono diversi problemi ancora aperti, di un Paese giovane, che approda da pochi anni a una propria statualità e che non può rivendicare una propria “storia” intesa come una narrazione di una propria etnogenesi. A differenza di Serbia, Croazia e Bosnia, prima del 1991 non è mai esistito un regno o un’autorità locale di cui gli attuali macedoni possano dirsi successori o continuatori.
La disputa attorno al nome, che i greci continuano a rivendicare in esclusiva, è dovuta al fatto che gli “slavo-macedoni” (abitanti della Macedonia del Nord) sono arrivati tra il IX e il X secolo, circa nove secoli dopo la morte di Alessandro Magno. Quella che oggi si chiama lingua macedone non era certo quella del condottiero macedone (che fu educato da Aristotele). E il territorio dell’attuale Macedonia del Nord, dopo la battaglia di Pidna del 168 a.C., data in cui entrò a far parte dell’Impero romano, è stato un territorio periferico conteso tra Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivistaQuesto articolo è riservato agli abbonati
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