Fontana, Manzoni, Abramovic, Cattelan: l’arte del Novecento non ha rinnegato la bellezza, ma l’ha spostata dall’oggetto all’idea, dal gesto manuale al pensiero. Capirla richiede un cambio di sguardo, non di sensibilità

L'arte contemporanea vive di una contraddizione fondamentale tutta sua. Tutti ne parlano, ma pochi la capiscono: “Potrei farlo anch’io!”, “Lo può fare anche un bambino!”. Cose che non si direbbero per la Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto a Padova, per l’Ultima Cena dipinta da Leonardo da Vinci nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, o per il Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina a Roma.

Da dove cominciare a scrivere sul tema in questione? Comincerei da mia madre. Una donna colta, insegnante di lettere, che amava ogni forma di cultura, che dichiarava di non capire l’arte contemporanea. Le piaceva ciò che era “bello” e “fatto bene” - l’arte contemporanea non le sembrava esserlo. Non era figurativa e quindi non poteva essere ricondotta a noti eventi storici, culturali o religiosi. Mia madre si sentiva estranea ad un’arte che non conosceva bene. Passammo tempo insieme alla Tate Gallery a Londra a considerare un’opera che le risultava ostica. Equivalent VIII (1966), comunemente chiamata The Bricks, 120 mattoni refrattari, sistemati a terra a due strati, in un rettangolo 6x10 dell’americano Carl Andre, protagonista della Minimalist Art che negli anni Sessanta limitò al minimo - per l’appunto - l’intervento e la manualità dell’artista ridefinendo il concetto di scultura e riducendo materiali ed elementi compositivi, Piu’ mia madre guardava i mattoni, più ne parlavamo e li analizzavamo, meno vi resisteva. L’apprezzamento non fu immediato, ma dopo poco mia madre finì per capire l’opera o per volerla capire. La sua affermazione iniziale era stata: «Vuoi mettere un dipinto di Piero della Francesca a confronto coi mattoni di Carl Andre?» E la mia risposta: certo che no, non li metterei a confronto perché sono due cose diverse! Non hanno nulla a che fare l’una con l’altra, ma hanno in comune una cosa: sono tutt’e due in un museo.

Come per mia madre, anche per tanti altri la bellezza di un’opera d’arte è condizione sine qua non. Il bello rasserena, rallegra, “piace”. Per piacerci qualcosa più che passare per il cervello, deve andare dritto al cuore. Dopo tutto, le accademie dove studiano gli artisti sono accademie di Belle arti.

All’origine della resistenza al contemporaneo c’è forse anche la confusione fra arte moderna e contemporanea. La storia dell’arte fa risalire l’arte moderna al periodo che va dalla fine del neoclassicismo alla fine della seconda guerra mondiale (1815-1945), e l’arte contemporanea a dopo il 1945. All’interno di questa confusione ce n’è un’altra: per arte contemporanea in realtà forse si intende arte concettuale - non solo arte dei nostri tempi. L’arte contemporanea è, in fondo estremamente varia: ci sono sì artisti concettuali, ma c’è anche chi dipinge su tela immagini riconoscibili con colori ad olio come per esempio l’artista canadese Lisa Milroy, o la pittrice

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