L’Italia si scopre laboratorio permanente della corruzione. Dal primo gennaio al primo dicembre 2025 le inchieste censite da Libera sono novantasei, quasi il doppio dell’anno precedente, otto al mese, quarantanove procure coinvolte, 1.028 indagati: una folla che racconta la normalità del fenomeno più di qualsiasi convegno. La Campania guida la classifica con 219 persone sotto indagine, seguita da Calabria e Puglia; al Nord spicca la Liguria con 82. È un’Italia che trucca appalti, compra concorsi, scambia favori, baratta pure certificati di morte e cambi di residenza per ottenere la cittadinanza. Un Paese in cui il voto di scambio politico-mafioso riemerge nelle pieghe della grande opera come nel municipio di provincia.
Cinquantatré politici sono sotto inchiesta, ventiquattro sono sindaci: l’epicentro istituzionale di un sistema che continua a riprodursi. Libera parla di una corruzione «solidamente regolata», dove ogni territorio ha il suo garante delle “regole del gioco”. E Francesca Rispoli avverte che le forme più moderne somigliano sempre più a una cattura dello Stato: leggi su misura, conflitti d’interesse accettati, opacità elevata a metodo.
Il quadro è parziale, certo, ma la tendenza è inequivocabile. L’Italia che festeggia la “giornata contro la corruzione” si presenta con un anno archiviato così: un Paese che ancora non ha deciso se la corruzione sia un incidente o un ecosistema politico-amministrativo. «Occorre un patto nuovo», dice Libera. Finché resta lettera morta, le inchieste servono solo a misurare il livello dell’acqua.
Buon martedì.
In foto: opera di Luciano Fabro “Italia rovesciata” – Foto di Federico Tulli




