Viene prima o poi il momento in cui le narrazioni, anche le più accattivanti, devono fare i conti con la realtà. È quello che ci segnalano i sondaggi un po’ in tutta Europa, dalla Spagna all’Inghilterra all’Italia, in cui le forze di governo vedono arretrare i consensi di fronte al degradare delle condizioni sociali reali della popolazione, sia dove la crescita è ancora auspicata, sia, e questo è ancora più significativo, dove il Pil si è mosso verso l’alto, ma la maggioranza delle popolazione tocca con mano che questo non migliora le proprie condizioni di vita e di lavoro.
Ed è significativo lo stesso risultato delle elezioni a medio termine degli Stati Uniti, dove Obama, che pure si è mosso in funzione della crescita in maniera ben più incisiva dell’Europa, ha visto diminuire il suo consenso, non riuscendo a rimotivare proprio quell’elettorato di sinistra che aveva creduto che con la sua presidenza sarebbero diminuite le disuguaglianze e ci sarebbe stata una svolta radicale nelle politiche ambientali.
Il mantra della crescita non sembra riscaldare più i cuori. Perché il popolo ha cominciato a toccare con mano che se non si mettono in discussione i fondamentali del modello di sviluppo che ha dominato il mondo in questi anni, se non si tagliano le unghie alla grande finanza, se non si prende atto dei fallimenti del mercato a creare nuovo lavoro e a rendere migliore la vita della gente, le disuguaglianze e la povertà cresceranno. Nella crisi e nella crescita i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri precipitano nella miseria.
In Italia la crescita non c’è e per un po’ non ci sarà. Ma Renzi continua a prometterla, spostando sempre più in là i tempi del decollo. Gli italiani sono invitati ad aspettare che ingolositi dalla deregolazione del mercato del lavoro i capitali esteri comincino ad arrivare in Italia, mentre nel frattempo gran parte dei padroni esteri già presenti chiudono, ristrutturano, licenziano. O che le grandi opere previste dallo Sblocca Italia, i favori fatti ai grandi concessionari della Autostrade, l’allentarsi dei controlli pubblici sul territorio, rimettano in moto il meccanismo dell’edilizia. Col nuovo e insensato consumo di suolo che ciò comporterebbe.
Ma intanto gran parte degli italiani vivono un oggi sempre più drammatico. Sott’acqua in gran parte d’Italia, per fenomeni atmosferici che qualcuno continua a definire eccezionali, ma sempre più palesemente portato strutturale di una crescita che ha consumato suolo e provocato quel cambiamento climatico che riversa su di noi le sue bombe d’acqua. E intanto Renzi fa gli esercizi consueti di prevenzione postuma, prendendo impegni solenni post-disastro.
Nelle periferie urbane la deprivazione sociale e culturale si riversa nelle strade, individuando come nemici i più poveri di tutti, i ragazzi, le donne, che sono fuggiti dalle guerre e dall’impoverimento crescente dei tanti Sud del mondo. È sacrosanto opporsi all’intolleranza che cova dentro certe rivolte, ma occorre sapere che non basteranno le prediche se non si affronta la miseria crescente che alberga nelle nostre periferie, se non se ne rompe l’isolamento fisico e culturale, e se non si assume la lotta al degrado urbano come una priorità dell’oggi. Senza aspettare le risorse derivanti da una improbabile crescita, ma anzi facendo di queste priorità – la salvaguardia del territorio, il contrasto alla povertà, le politiche di accoglienza – gli elementi fondamentali di una nuova idea di sviluppo.
Ma sarebbe vano ricercare queste priorità nell’azione attuale del governo. Nel decreto Sblocca Italia ci sono tante autostrade, un po’ di ferrovie- tutte ad Alta Velocità, niente per i pendolari – briciole per il trasporto pubblico locale. L’Italia “sbloccata” avrà più asfalto e più cemento, e meno terra che respira. Le periferie continueranno ad essere marginali e isolate. Non c’è da stupirsi che la gente impoverita e sott’acqua non si accontenti più di promesse, oltre tutto quando le promesse sono di questo tipo. Crescerà la rabbia, e il pericolo che la rabbia sia cavalcata dal populismo di destra. Dove Renzi non arriva più, sempre più spesso arriva Salvini.
Ma fortunatamente in Italia è in campo anche la sinistra sociale dei lavoratori dipendenti e autonomi, dei disoccupati, degli studenti. La manifestazione della Cgil del 25 ottobre, lo sciopero sociale e quello della Fiom del 14 novembre, lo sciopero generale proclamato dalla Cgil per il 5 novembre, mettono in primo piano la questione del lavoro: quello che manca, quello che sparisce, quello che perde dignità e diritti.
Le speranze che il declino del renzismo apra una nuova stagione per la sinistra sta nella capacità di questo mondo di trasformare in proposta politica la rabbia delle nostre periferie e dell’Italia sott’acqua. Zero cemento e zero rifiuti, recupero delle aree interne e della vocazione agricola di gran parte del nostro territorio, rottura dell’isolamento fisico e culturale delle periferie, manutenzione e la cura del territorio come la vera “grande opera” di cui il nostro Paese ha bisogno, possono essere al centro dello stesso movimento sociale. Per far nascere nuovo lavoro, nuova ricerca, nuovo sapere. Nuova speranza di un presente e di un futuro diverso.