E’ ancora presto per dare un giudizio sull’operato politico e amministrativo di Ignazio Marino, sindaco di una città complessa come Roma. Tra qualche anno, guardandosi indietro si potrà fare. Il confronto col suo predecessore Alemanno è già impietoso per l’ex missino, ma ci voleva poco, potrebbe dire qualcuno. Di certo si può affermare che Marino, da uomo fuori dagli apparati partitici, ma anche da sistemi di potere altri, il suo ruolo di “Marziano” nel palazzo lo ha interpretato fin qui a testa alta.
Mentre il suo partito lo massacrava chiedendo cambiamenti in giunta si scopriva che in città è esistito e forse esiste ancora un fenomeno chiamato Mafia Capitale. Addirittura, nei giorni di Tor Sapienza, di quella rivolta contro un centro per migranti (pilotata anche da forze oscure non lontane da Mafia Capitale) il vicesegretario nazionale del Pd Guerini ha chiesto con insistenza un nuovo vicesindaco, quel Mirko Coratti che, tempo un mese, ha dovuto invece lasciare anche la carica di presidente dell’Assemblea Capitolina, proprio perché coinvolto nell’inchiesta “Mondo di Mezzo” della procura di Roma. La circostanza è sempre stata smentita da Lorenzo Guerini, ma fonti più che attendibili continuano a confermarla.
Il “Marziano” nel frattempo, picchiato dal fuoco incrociato della stampa romana – dal Messaggero del megacostruttore Caltagirone al Tempo – è andato avanti un po’ cocciuto e un po’ sprovveduto per la sua strada, nominando assessore alla Legalità Alfonso Sabella, l’ex magistrato che arrestò Giovanni Brusca nella Palermo delle stragi e adesso sta mettendo le mani negli appalti della Capitale. Il risultato è che certi ambienti romani, già terrorizzati dal “casino” messo su dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, hanno tirato i remi in barca pronti a riorganizzarsi, probabilmente con più ferocia di prima.
Dai remi agli oggetti contundenti, più di 110 colpi contro la Barcaccia del Bernini, ferita all’arte, al patrimonio e alla storia di Roma e dell’Italia per mano di un gruppo di ultrà olandesi ubriachi mentre gli agenti di polizia stavano a guardare. Non per colpa loro, ma – dice Marino – per ordini sbagliati, indicando i responsabili senza peli sulla lingua e senza alcun timore: il prefetto Giuseppe Pecoraro e il questore Nicolò D’Angelo. Non ricordo altri casi tanto eclatanti con una frattura così profonda tra un sindaco e i padroni dell’ordine pubblico in una città importante come Roma. Tutto questo mentre al Viminale l’inquilino è Angelino Alfano, governo Letta e governo Renzi, dal 28 aprile 2013 nonostante una scia di insuccessi e brutte figure impareggiabile.
Recentemente mi è capitato di trovarmi in Campidoglio – che brividi immaginando quei luoghi occupati dall’ex sindaco indagato per mafia Gianni Alemanno e dalle sue truppe fascistoidi – per intervistare Marino. Avendo spesso a che fare con politici e cortigiani ritengo che la definizione di “Marziano” per il sindaco di Roma sia assolutamente meritata, nel bene e nel male.
Alla fine dell’intervista, parlandomi di diversi problemi della città dalla difficile soluzione, Marino ha ammesso: «C’è una situazione da cui non so venire a capo. La nuova tratta della linea C. In quel punto nella periferia di Roma Est le persone continuano a servirsi del vecchio autobus 105, una sorta di carro bestiame sempre stracolmo di gente. Il motivo? Non pagano il biglietto, mentre per accedere alla metro sarebbero obbligati a farlo, dovendo passare per i tornelli. Ho pensato di aumentare i controlli, volendo si può rendere quasi impossibile salire a bordo dell’autobus senza biglietto. Però, lei crede davvero che possa dare un ordine del genere? La maggior parte di quelle persone fatica ad arrivare a fine mese, se ci arriva». Benvenuti su Marte, pianeta rosso.
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