Con un’evasione fiscale che dissangua le casse dello Stato e con un livello di corruzione superiore a qualunque altro Paese europeo, una priorità del governo Renzi è umiliare la scuola pubblica, con l’ennesimo taglio reclamizzato come riforma. Riforma va detto, che slitta, visto che il decreto è saltato. Ma rimane inalterata la filosofia che ne è alla base.
Già il documento della Buona scuola, ispirato dai burocrati di Bruxelles, dichiarava l’impossibilità dello Stato di rispondere integralmente alla domanda di istruzione nel nostro Paese. Ora, con un altro cambiamento di verso delle priorità, diversi esponenti del governo (a cominciare dal ministro Giannini) e del Pd (in testa i parlamentari Malpezzi, Patriarca e Rubinato nella lettera dei 44 inviata a Avvenire) si preoccupano di incrementare il finanziamento delle scuole private.
Non bastano i 700 milioni di euro versati ogni anno agli istituti privati dallo Stato (500 dal Miur e 200 dagli enti locali). È stata proposta – e lo stesso ex ministro Luigi Berlinguer la sollecita – una defiscalizzazione delle rette, per cui la transazione da privato (la famiglia) a privato (la scuola privata) godrebbe di uno sconto fiscale pubblico. Lo stesso premier ha annunciato che i singoli istituti (senza differenze tra pubblico e privato) potrebbero beneficiare di un sistema di finanziamento simile a quello del 5 per mille, con una distribuzione delle risorse delegata alle famiglie.
I guasti prodotti dall’autonomia, con una forbice sempre più larga tra le scuole delle aree più ricche e quelle delle zone più arretrate del Paese, si moltiplicherebbero. Inoltre si introdurrebbe surrettiziamente il principio che non esistono beni pubblici in quanto tutto è subordinato il consenso individuale. Sulla base di questo principio non esisterebbe più una scuola pubblica, garanzia di uguaglianza di diritti e coesione sociale, ma esisterebbero tante scuole quante sono le famiglie. I nostri rottamatori vogliono condannare i giovani a rimanere dentro l’angusto circuito familiare, come avviene nelle società più arcaiche e retrive.
E sotto questa ingannevole idea della “libertà di scelta educativa” ci sono due convinzioni: che i docenti della scuola pubblica siano orientati politicamente a senso unico e che il processo di insegnamento apprendimento sia tutt’altro che libero, ma naturalmente portato a “inculcare” convinzioni negli allievi. Così si cambia verso alla realtà: la scuola pubblica viene infangata con l’accusa di essere una fabbrica del consenso, mentre la scuola privata diventa, secondo questa fantastica ricostruzione, il sistema in cui ad una libertà di scelta educativa da parte delle famiglie corrisponderebbe la libertà di insegnamento.
C’è un’altra grande bugia anche dietro la richiesta di ulteriori fondi alle scuole private. Cioè quella del risparmio per lo Stato di 6 miliardi di euro l’anno. Un recente studio della Fondazione Agnelli (dicembre 2014) ha mostrato che è una menzogna perché 200mila sono i fruitori delle scuole comunali dell’infanzia (quindi, indirettamente, dello Stato) e perché l’assorbimento dei 400mila studenti di primaria e secondaria delle private avverrebbe senza un incremento significativo di aule e insegnanti nel pubblico, con un aggravio di spesa molto distante da quello sbandierato.