Nato ad Algeri nel 1905, Alexandre Villaplane tira i primi calci nel vivaio del Gallia Sports, il club più amato dagli occupanti francesi. Dopo la Grande Guerra, emigra sulla costa meridionale della madrepatria, a Sète, per esordire nel centrocampo della locale squadra biancoverde che, ormai nel ’23, perde la finale di coppa di Francia contro la Red Star parigina di Pierre Chayriguès, il portiere idolo del piccolo Albert Camus.
A 18 anni, Villaplane è chiamato al servizio di leva, si mette in mostra nelle rappresentative militari e si guadagna il debutto in Nazionale. È il 1926. La Federazione di Parigi non ammette ancora il professionismo mentre i maggiori club aggirano il divieto pagando i calciatori sottobanco.
Nel ’27, Villaplane gioca a Nimes e l’anno dopo partecipa alle Olimpiadi di Amsterdam dal cui tabellone la Francia è subito eliminata ad opera dell’Italia medaglia di bronzo. Nel ’30, in Uruguay, in occasione dei primi mondiali della storia, veste la fascia di capitano della sua Nazionale. Dopo il 4-1 al Messico nella gara d’esordio, due sconfitte per 1-0 contro Argentina e Cile rimandano a casa la comitiva.
Alexandre detto Alex, caratteraccio, soldi sempre in tasca, bordelli, bella vita e brutte frequentazioni, se ne torna a Parigi dove indossa già da un anno la maglia del Racing. Nel ’32, la Federazione si arrende al professionismo e finalmente parte il primo campionato: due gironi da 10 squadre.
Villaplane milita nell’Antibes che contende al Cannes l’unico posto utile per la finale contro l’Olympique Lilla: prima senza rivali nel suo raggruppamento. All’ultima giornata, l’Antibes batte il Cannes 1-0. Sarebbe il sorpasso decisivo, ma la società viene penalizzata per aver corrotto i giocatori di un’altra squadra nel corso della stagione. Villaplane cambia aria. La sete di soldi lo porta prima a Nizza e poi a lasciare la Costa azzurra per il nord. Accetta un club di serie B a Bordeaux nel cui ippodromo verrà arrestato per una serie di corse di cavalli truccate.
La sua carriera è finita, ormai è soltanto un delinquente. Allo scoppio della guerra si precipita a Parigi: luogo ideale per malfattori e sciacalli ingrassati dai tedeschi alle porte. Borsa nera, caccia all’ebreo e razzia dell’oro sono la sua specialità. Finisce dentro per ricettazione e proprio in galera aderisce ai collaborazionisti di Henri Lafont e di Pierre Bonny, torturatori di partigiani in rue Lauriston. Fugge a Tolosa per evitare un altro arresto per furto e ottiene da Louis Cazal, suo vecchio compagno ai tempi di Sète, i documenti falsi per rientrare nella capitale occupata. La polizia tedesca lo becca con preziosi rubati e lo sbatte di nuovo in cella. Uscirà per intercessione dello stesso Lafont. Una volta fuori, Bonny lo usa come autista personale e lo inquadra nella Carlingue, la famigerata Gestapo francese. I camerati lo chiamano SS Maometto perché guida la brigata dei collaborazionisti nordafricani.
Quando i tedeschi si arrendono agli alleati, Villaplane finisce nel forte militare di Montrouge. Coinvolto in terribili fatti di sangue e riconosciuto colpevole di almeno dieci omicidi, viene condannato a morte e fucilato nel dicembre del ’46 insieme a Lafont e Bonny, i suoi peggiori compagni di squadra.