Anton Kusters di professione fa il fotografo, ma ha avuto la possibilità di frequentare per un certo periodo di tempo una ristretta cerchia della Yakuza, la mafia giapponese, e di documentare il suo viaggio nel mondo del crimine organizzato con una serie di scatti capaci di descriverne la quotidianità. Il tutto senza finire ammazzato.
Anton Kustersdi professione fa il fotografo, ma ha avuto la possibilità di frequentare per un certo periodo di tempo una ristretta cerchia della Yakuza, la mafia giapponese, e di documentare il suo viaggio nel mondo del crimine organizzato con una serie di scatti capaci di descriverne la quotidianità. Il tutto senza finire ammazzato.
Per farcela Kusters ha dovuto negoziare per 10 mesi, assieme al fratello, le condizioni secondo cui gli sarebbe stato permesso di essere i primi e gli unici occidentali a seguire i membri di uno dei clan più importanti della mafia giapponese. Il risultato è stato pubblicato in un libro fotografico che si chiama “Odo Yakuza Tokio”. Quello che si intravede dalle immagini e dalle parole di Kusters è un codice sottile e silenzioso fatto di cenni e di poche parole, soprattutto basato su regole, limiti e su un rispetto tacito per chi comanda.
Ecco come il fotografo descrive una delle scene di cui è stato testimone.
Nel bar dell’hotel a Niigata, inizio lentamente a capire le interazioni estremamente sottili che si ripetono di continuo, il linguaggio del corpo, le micro espressioni sui volti, i gesti le voci, l’intonazione. Quando il bar viene evacuato per fare spazio per permettere al Padrino di prendere un caffè, tutto sembra essere rigorosamente organizzato, ma allo stesso tempo accadere naturalmente. È strano, ma in questo momento non ho bisogno di nessuno per sapere cosa fare, dove sedermi, quando parlare o quando stare zitto. Sento i confini e le aspettative degli altri in modo implicito, imparo quando posso farmi avanti e quando è meglio invece che faccia un passo indietro.
«Con questo lavoro – ha spiegato il fotografo Anton Kusters – ho trasmesso il complesso rapporto con la società giapponese che intrattengono i membri della Yakuza, e allo stesso tempo il conflitto personale che vivono frequentando allo stesso tempo due mondi diversi, mondi che hanno codici e valori morali in conflitto. Si scopre che la realtà non è semplicemente dipinta dei toni del nero e del bianco, ma fatta di sfumature ben più complesse da leggere»