«Su questo palco non sentirete nessuno denigrare le donne, fare commenti razzisti sui nuovi immigrati in America e neppure parlare male di un altro americano a causa del loro credo religioso.», forse la migior battuta dell’ex governatore del Maryland Martin O’Malley, staccato terzo nei sondaggi per le primarie democratiche, non è un attacco a Clinton (come pure ne ha fatti), ma un elogio dei contendenti del suo partito.
Ha qualche motivo per farlo: tutto sommato su immigrazione, regole per la finanza e le banche, salari, diritti, commercio internazionale, controllo della circolazione delle armi, il suo partito è a sinistra di quanto non sia stato da tempo – e probabilmente alla sinistra della maggior parte delle socialdemocrazie europee, ma certo parliamo di un altro contesto.
Due ore di dibattito sul palco di un hotel di Las Vegas sono finite come ci si aspettava: l’esperienza e il focus di Hillary Clinton hanno avuto la meglio sugli argomenti di Bernie Sanders. Gli altri sono comprimari, due dei quali capaci, ma senza apparenti possibilità di cambiare la dinamica della sfida in casa democratica. A Hillary manca ancora un afflato, una visione da presentare, dovrà trovarne una da contrapporre ai repubblicani, se sarà nominata candidata.
Ieri segnalavamo alcune cose da tenere d’occhio durante il dibattito, vediamo come è andata.
Sanders e Clinton si attaccano più del previsto
Non è proprio andata così, ma nessuno ha tentato colpi bassi: Hillary ha azzannato il senatore del Vermont sul suo tallone d’Achille sinistro, il gun control, la circolazione delle armi. Sanders ha sempre votato contro la legge che vieta la vendita delle armi da combattimento e Clinton lo ha fatto notare quasi subito. Bernie spiega che nel montagnoso e rurale Vermont le armi servono. La verità è che il piccolo Stato che lo elegge è pro-guns e lui, se avesse votato contro, avrebbe rischiato grosso. Sanders a sua volta ha colpito sulle banche: andare a Wall street e chiedere ai banchieri di comportarsi bene non è una politica. Ma il senatore ha anche detto: «Agli americani e a me, di questa storia delle mail di Clinton non frega niente, vogliamo parlare di cose serie», guadagnandosi una stretta di mano da Hillary e l’applauso più rumoroso della serata. I due sono avversari politici di un partito piuttosto unito, non due nemici.
Il fantasma di Biden
La Cnn aveva fatto di tutto per convincere il vicepresidente a esserci. Biden, che ancora riflette se candidarsi o meno, non c’era. Ma la sua presenza non si è avvertita troppo e da oggi la sua candidatura sembre meno probabile: Clinton ha vinto bene ed ha dimostrato di essere pronta a condurre una campagna dura. Nel 2008 le difficoltà contro Obama la avevano paralizzata e mandato la sua campagna nel panico, stavolta il successo di Sanders non sembra averle fatto male. Il vicepresidente può sempre decidere di correre, ma senza una Clinton in difficoltà candidarsi tanto tardi è un rischio forse inutile da correre.
Il candidato presidenziale Sanders
Sanders mette in fila tutto quanto c’è di sbagliato nell’attuale sistema americano – quello post rivoluzione conservatrice e post terza via – la diseguaglianza, il potere delle lobby e delle banche, un sistema fiscale che beneficia i più ricchi, il bisogno di infrastrutture e politiche progressive. Ma scivola sulle armi e sulla politica estera, della quale sa poco. Le sue proposte sono buone, ma quando Hillary gli risponde «Anche io sono progressista e non sono pronta a retrocedere su nessuna delle mie convinzioni, ma sono anche una che vuole ottenere risultati», vince lei. Gli americani sanno che ci sono buone probabilità di avere un presidente democratico e un Congresso ancora in mano ai repubblicani e ottenere risultati significa riuscire a lavorare anche con i pezzi assennati del partito di Trump, Carson e Cruz. Non solo, sebbene le politiche di Sanders potrebbero piacere a molti, il modo in cui le vende è troppo ideologico e di sinistra: perfetto per la basa liberal, ottimo per salire nei sondaggi, meno per vincere le elezioni in America. Qui sotto Clinton parla dei guai del capitalismo americano «Che va salvato da se stesso di quando in quando», prendendo le distanze dall’ideale socialdemocratico scandinavo di Sanders.
L’ossessione per il controllo del messaggio, la capacità con cui piega le domande per dire quel che ha deciso dirà sono rimaste, ma il tono è rilassato, specie verso la fine e Hillary non sembra avere paura di perdere. Non è dura, se non contro i repubblicani, e dopo la pausa, quando i candidati sono andati in bagno, arriva un momento dopo gli altri dicendo «Scusate, io ci metto più degli altri», beccandosi una risata del pubblico femminile in sala.
La distanza da Obama
Nessuno ha criticato o preso le distanze dal presidente. Troppo pericoloso, che Obama sarà una forza in campagna elettorale. Nemmeno in politica estera, dove pure Hillary ha ed ha avuto le sue divergenze, si è rimarcata vera distanza. Alla domanda: che differenza ci sarebbe tre la sua presidenza è quella in carica, la risposta è stata: «Sono una donna». Qui sotto il video.
Francamente questa sembra una corsa a due e il dibattito non ha cambiato le cose. O’Malley ha attaccato molte volte Clinton, che è apparsa in difficoltà o sulla difensiva solo in politica estera. Il voto sulla guerra in Iraq, la Libia, la Russia e la Siria sono temi a cui è difficile dare risposte nette e sui quali Hillary ha sbagliato. Un terreno minato contro i repubblicani (che pure non sembrano avere altre idee se non flettere i muscoli) ma non qui. Webb ha dato un’ottima risposta quando parlando del suo peggior nemico ha nominato il soldato che lo ha ferito con una granata «ma non è potuto andare in giro a raccontarlo». Fosse stato davanti a una platea repubblicana sarebbe venuta giù la sala. Ieri notte a Las Vegas è solo una risposta azzeccata. Sia lui che Sanders vincono in quanto a ricerche su Google durante le due ore di dibattito. Segno che la gente vuole saperne di più (Sanders è noto alla sua base, meno altrove). Ma non è una ricerca Google che cambia la dinamica della corsa.
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