Mi chiedo talvolta come sia possibile che la condizione femminile sia ancora così arretrata. Che due sorelle siano condannate allo stupro collettivo per riparare all’errore di un fratello, come è successo in India recentemente, tanto per fare un esempio.

Mi chiedo talvolta come sia possibile che la condizione femminile sia ancora così arretrata. Che due sorelle siano condannate allo stupro collettivo per riparare all’errore di un fratello, come è successo in India recentemente, tanto per fare un esempio. Mi guardo allo specchio e penso a quanto sono fortunata di poter disporre di me stessa, verrà mai il giorno in cui tutte le donne potranno guardarsi allo stesso modo? Quanto tempo dovrà passare: decenni, secoli, millenni? Qual è la paura fondamentale, che non permette di liberare le donne? È quello che mi sono chiesta guardando Mustang il film della regista turca Deniz Gamze Ergüven alla sua prima, eccellente, prova.
Cinque sorelle orfane, cresciute da una nonna e da uno zio si affacciano alla vita con la forza dirompente della giovinezza. Adolescenti e preadolescenti, capelli lunghi sulla schiena, sguardi profondi e risate eccitate, escono da scuola l’ultimo giorno prima delle vacanze e si buttano in mare tra schizzi e schiamazzi insieme ad alcuni compagni. La reazione delle donne del villaggio, in una zona rurale della Turchia, è feroce. Le ragazze hanno ostentato comportamenti indecenti, la loro reputazione è subito messa in discussione. Inizia così un lento e inesorabile processo di imprigionamento che assume diverse forme. Le più concrete sono in fondo le meno gravi: grate alle finestre, muri innalzati, porte sprangate. Gli ostacoli fisici non impediranno alle cinque ragazze di scappare di casa per andare ad assistere a una partita di calcio solo per tifose donne. È l’unica scena del film in cui le vecchie del villaggio si rendono complici della disperata ricerca di libertà delle ragazze invece di essere complici del sistema patriarcale che vuole soffocarle. La vera prigione è proprio questo sistematico tentativo di spegnere la gioia di vivere, la forza, la ricerca di sé, l’energia e la sensualità che a quell’età sembrano non conoscere limiti. Le ragazze non torneranno a scuola dopo l’estate, allo studio si sostituisce l’economia domestica e una dopo l’altra andranno spose a ragazzi del villaggio, come se l’unico modo di tenerle a bada fosse di farle entrare nel giogo matrimoniale.


La verità però è che il film sembra dire che la conquista della libertà non può essere fermata, sebbene il prezzo da pagare, per alcune, sarà molto alto. È questo che fa paura: la vitalità rompe gli schemi di un ordine precostituito e implica una rimessa in discussione radicale della società tutta intera, a partire dal rapporto tra i sessi e le generazioni. E questo è pericoloso, viene considerato come una minaccia catastrofica. La creatività, la vitalità, la forza delle donne sono delle bombe sociali che potrebbero far esplodere tutto. Meglio allora disinnescarle subito. Nel film sarà l’ultima delle sorelle, Lale, a riuscire a ribellarsi davvero. È un’immagine forte dello sforzo che costa rompere le catene della tradizione. Rompere i pregiudizi di genere. La rottura implica una forza, una protesta, non può essere un processo pacifico, indolore. Sarà per questo che a molti (e a molte) dà fastidio il termine “femminista” che la regista rivendica per il suo film. In un Paese come la Turchia è un messaggio dirompente, proprio come le cinque ragazze che urlano allo stadio fino a perdere la voce. Urlare, protestare, ribellarsi, lottare: non c’è altra scelta.


«La vera prigione è proprio questo sistematico tentativo di spegnere la gioia di vivere, la forza, la ricerca di sé, l’energia e la sensualità», scrive Chiara da Parigi. Mustang è in sala dal 29 ottobre e noi ci andiamo. Parla di uguaglianza e libertà. E di donne, considerate una minaccia catastrofica. Bombe sociali appunto, da disinnescare subito perché potrebbero sovvertire la “prigione vera” del sistema patriarcale. Sono anni che lo scriviamo su Left, anche su questo numero vi racconteremo come non siamo più noi a dover assomigliare agli eroi ma loro a noi, perché ciò che li rende “super” non sono più i muscoli (la macchina funzionante del corpo) ma la sensibilità (la loro identità umana), perché questo fa stare bene le persone.
Buona lettura, i.b.

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Trovi questo editoriale nel numero 41 di Left disponibile in edicola e in digitale dal 24 ottobre

 

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