«Se io mi affaccio alla finestra vedo il deserto, non c’è nessuno per strada, è un’immagine surreale della città». Annalisa Gadaleta è assessore alla cultura e all’istruzione del comune di Molenbeek, un popoloso centro di 97mila abitanti a pochi chilometri da Bruxelles. È il luogo chiamato anche “Belgistan”, perché qui si è formato il gruppo jihadista che ha portato il terrore a Parigi nella notte del 13 novembre. E sempre qui, nei giorni successivi agli attentati, le forze dell’ordine belghe hanno messo a ferro e fuoco il quartiere alla ricerca dell’ultimo terrorista sopravvissuto, Salah Abdeslam e di complici e reclutatori jihadisti. «Ora siamo al livello 4 di emergenza, ma le scuole riaprono domani (oggi ndr)», dice come sollevata l’assessore. Nata a Bari, con studi compiuti in Italia, dal 1994 è in Belgio e adesso Annalisa ammette di sentirsi belga a tutti gli effetti: «Sono legata a questo Paese, anche per il ruolo che ricopro, anche se in Italia ho amici e parenti». Con lei, immigrata ed esponente di una istituzione che promuove la cultura, parliamo sia dell’emergenza ma anche degli strumenti per battere quel “radicalismo” che può sfociare nel terrorismo. È martedì 24 novembre, Annalisa l’abbiamo sentita al telefono tra una riunione e l’altra: si tratta di organizzare la riapertura delle scuole e degli asili. «E il livello 4 presuppone che ci sia la presenza della polizia. Abbiamo dovuto rinunciare al pre e dopo scuola, perché era difficile garantire la presenza delle forze dell’ordine dalle 7 di mattina alle 18 di sera», dice. Lunedì prossimo, 30 novembre, il livello 4 verrà rivalutato e forse tutto tornerà alla normalità. Ma intanto è importante che gli studenti possano tornare a scuola. «I bambini da sabato si trovano in un clima particolare, di paura. La scuola è un luogo dove invece stanno bene, si sentono al sicuro, quindi è importante che riaprano» continua l’assessore.
Annalisa, adesso il clima che si avverte tra la popolazione è ancora di paura?
La situazione è particolare, perché Molenbeek già nei giorni successivi agli attentati Parigi si sentiva coinvolta e questo aveva creato già un sentimento di paura nella popolazione. Poi è scattato il livello 4 e quindi la paura è diventata generalizzata. I bambini sono stati colpiti prima dagli attentati a Parigi, perché ormai attraverso i media tutti possono vedere quello che accade, poi sapere che erano implicate persone che vivevano qui, ha aumentato la paura. Infine lunedì sono cominciate le prime perquisizioni ed è stato uno choc. Adesso bisogna fare in modo che collettivamente si ritrovi il senso della vita normale, bisogna ritrovarsi nei luoghi collettivi, per questo è importante che le scuole riaprano.
La cultura e l’istruzione quanto servono per superare conflitti e situazioni difficili come quelle di adesso?
I momenti culturali sono importanti perché offrono alla gente la possibilità di incontrarsi. La scuola poi è un luogo fondamentale di educazione alla democrazia. Quando viene a mancare la possibilità di riunirsi e di incontrarsi in effetti può accadere di cedere all’ideologia del radicalismo.
Molenbleek viene chiamato Belgistan. Perché si è arrivati a questo punto? Si può dire che la politica ha fallito?
Va detto che il comune è in una situazione socio economica difficile. Ci sono alcuni quartieri in cui la disoccupazione è al 50 per cento con una densità di popolazione elevatissima per cui questo spiega un po’ perché si crea un terreno più fertile a certi processi. Poi c’è il fatto del ripiego identitario di una parte della popolazione. Nonostante una parte dell’immigrazione sia arrivata alla terza generazione non è ancora riuscita a impossessarsi degli strumenti necessari per partecipare all’attività democratica. E questo ha creato, se vuoi, un fondo piuttosto fertile per lo sviluppo del radicalismo. E poi c’è la questione della sicurezza. Tutti ci facciamo delle domande.
Cosa vi chiedete?
Partendo dal fatto che questi sono dei veri network che si creano, ci chiediamo come mai i servizi di sicurezza non hanno visto il sorgere di queste reti e se le hanno viste perché non sono intervenuti prima. Peraltro bisogna fare un’analisi sul funzionamento delle istituzioni. Qui c’è qualcosa che va cambiato: abbiamo un sistema istituzionale molto complesso, è questo che ha reso difficile rendersi conto di queste cose e intervenire? È una domanda che ci porremo nelle settimane che vengono.
Quanto è avvenuto a Molenbeek potrebbe avvenire in altre periferie, anche italiane? Quali potrebbero essere gli antidoti?
Per come conosco l’Italia, penso che gli antidoti migliori siano l’istruzione e la difesa dei valori democratici dando contemporaneamente alle persone gli strumenti per appropriarsene. I migranti che arrivano non sono nati e cresciuti in Paesi democratici, spesso fuggono da dittature e guerre. Immaginare che le persone quando arrivano si approprino subito della democrazia è un’illusione. Bisogna veramente fare un lavoro insieme a loro, a cominciare dall’apprendimento della lingua e della cultura democratica. E soprattutto valorizzando anche le loro comunità. Io da giorni sto dicendo che se noi vogliamo marginalizzare e sconfiggere il radicalismo lo dovremo fare insieme alla comunità musulmana, valorizzando i loro elementi positivi. Questo può essere interessante anche per l’Italia. Non si deve dare un’immagine negativa della comunità musulmana e anzi bisogna capire che la comunità musulmana invece ha delle forze e ricchezze intellettuali importanti per uscire da questa situazione.
Ci sono state reazioni della comunità musulmana a Molenbeek?
Incomincia pian piano a organizzarsi. Qualcosa si sapeva in precedenza anche di questi reclutatori attivi nelle strade che si cercano delle vittime in ragazzi che hanno difficoltà di diverso tipo. Ma mentre prima le persone erano prudenti, adesso capiscono che è necessario segnalare situazioni di questo tipo alle forze dell’ordine. È una presa di coscienza del fatto che questi elementi nuocciono non solo alla comunità ma a tutto il Paese. La sfida per noi, per i poteri locali, è riuscire a trovare dei modi di espressione di questo sentimento anche a livello concreto.
Avete in mente progetti da realizzare insieme alla comunità musulmana?
Già da tre anni la nuova giunta ci sta lavorando. Faccio un esempio. La comunità musulmana si identifica molto con quanto accade in Medio Oriente, soprattutto in Palestina. Ci sono stati dei giovani che hanno costituito un gruppo per raccogliere fondi: il Comune gli ha teso una mano, ha trovato una sala, siamo andati là per far capire che i giovani che vogliono esprimere solidarietà con altre parti del mondo possono farlo in maniera diversa rispetto alle forme di radicalismo. Abbiamo creato inoltre un consiglio consultivo dei giovani che viene eletto democraticamente da tutti i giovani tra i 16 e i 25 anni. Nei prossimi giorni incontrerò delle donne musulmane per capire quali iniziative concrete abbiano intenzione di fare e vedere come possiamo sostenerle. La parola chiave, che penso possa valere anche per l’Italia, è emporwement. Il nostro ruolo è anche aiutare le persone a riflettere. Piano piano dobbiamo fare un’analisi su quanto non abbiamo visto e che cosa possiamo fare. Sarà il lavoro che ci aspetta nei prossimi tempi. Abbiamo tanto da fare, ma per il momento siamo nell’urgenza. Siamo ancora a livello 4 e dobbiamo pensare alla gestione quotidiana.
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