Pagate anche meno di 2 euro l’ora, costrette a lavorare fino a 15 ore al giorno e anche sabato e domenica. E, come se non bastasse, sottoposte al ricatto di caporali senza scrupoli: sesso in cambio di un trattamento meno disumano. Sul numero in edicola domani e disponibile on line oggi, Left ha raccolto la testimonianza di alcune lavoratrici, soprattutto dell’agro pontino dove vivono 15mila indiani sikh, minacciate di perdere il lavoro se non avessero accettato di «andare con il padrone». Schiave due volte, insomma. Episodi per ovvie ragioni difficili da denunciare, non solo a causa della barriera linguistica. Se parlano, le braccianti hanno tutto da perdere: lavoro, relazioni familiari e a volte anche la sicurezza personale. Non la pensa così, però, il questore di Latina Giuseppe De Matteis, che sulle pagine del settimanale racconta di aver disposto «numerosi accessi, atti di ispezione e controlli» a seguito delle segnalazioni di fonti giornalistiche, «e non dai sindacati, che hanno una visione molto concreta del problema».
Segnalazioni (evidenziate anche nei video che corredano questo articolo), che però non hanno portato a nulla di concreto. «Se vogliamo dire che nella provincia pontina ci sono evidenze di condizioni di schiavitù dei braccianti stranieri o che questi vengano costretti addirittura ad assumere droghe per garantire una lunga giornata di lavoro, francamente non abbiamo riscontri». Le irregolarità, spiega De Matteis, riguardano questioni comuni a quasi tutti i lavoratori del settore, episodi di competenza dell’Ufficio provinciale per il lavoro e non di forze dell’ordine e magistratura.
Anche il protocollo d’intesa siglato sei mesi fa con i sindacati confederali della provincia di Latina ha portato «a una sola denuncia e neanche riscontrata» aggiunge il questore, la cui tesi è che i braccianti raccontino episodi abnormi imputandoli alla camorra o a caporali italiani «per nascondere reati compiuti da connazionali». De Matteis non usa mezzi termini per definire l’atteggiamento delle braccianti straniere: «Ho l’impressione che siamo dinnanzi a casi di depistaggio. Loro raccontano dei fatti clamorosi, che sicuramente comportano l’attenzione degli organi investigativi. Non raccontano invece, le cose che avvengono sicuramente ogni giorno», vale a dire gli episodi di caporalato che vede come protagonisti loro connazionali.
«Le parole del questore mi lasciano sbalordito» commenta Dario D’Arcangelis, segretario generale della Cgil di Latina. «Che ci siano anche fenomeni di caporalato etnico lo denunciamo anche noi, ma i casi di sfruttamento ad opera di caporali italiani sono molti. Per il rappresentante della Cgil «è grave se da parte del questore c’è la sottovalutazione, l’accusa di millanteria, e non invece il riconoscimento della difficoltà di circostanziare il fenomeno».
D’Arcangelis racconta poi di aver «raccolto la testimonianza di tre braccianti indiani pronti a denunciare: hanno pagato un loro connazionale che gli aveva promesso l’assunzione in un’azienda del pontino e dopo un anno a nero ora sono destinatari di un decreto di espulsione». Il sindacalista si augura che l’analisi di De Matteis «sia frutto di una strategia investigativa volta ad abbassare il livello di guardia delle aziende che ricorrono al caporalato. Perché – riprende D’Arcangelis – la nostra storia, il nostro lavoro sul territorio e le minacce che alcuni di noi hanno subito, girando per i campi, da caporali italiani, dicono esattamente il contrario».
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Continua sul numero 46 di Left in edicola dal 28 novembre