La confusione sul fronte siriano – anzi sulle decine di fronti nei quali tutti combattono più o meno contro tutti – regna sovrana. Come sabbia negli ingranaggi, l’abbattimento dell’aereo russo da parte dell’aviazione turca ha creato nuovi problemi in una situazione che sembrava lentamente essere avviata a maggior chiarezza.
Se nei giorni scorsi Usa e Russia si erano promessi reciprocamente maggior collaborazione nella guerra all’ISIS, la Francia aveva fatto da pontiere e qualche ipotesi di accordo mediato per una uscita di scena pacifica di Assad sembrava all’orizzonte (o almeno in agenda), oggi tutto sembra di nuovo per aria.
La tensione tra Mosca e Ankara è alle stelle, ma tutti stanno cercando di raffreddare il clima: non ci saranno ripercussioni militari (almeno così si spera), ma certo la Russia farà di tutto per colpire economicamente la Turchia. A cominciare dal turismo e dall’agricoltura, in un caso una reazione, nell’altro una decisione presa da Mosca, che ha ridotto l’import. Il colpo si farà sentire e alimenterà il nazionalismo turco – mentre l’abbattimento dell’aereo russo è lievito per quello russo.
Tra i protagonisti della giornata ci sono anche Hollande, volato da Putin a farsi dire che la Russia è pronta a collaborare nella lotta al terrorismo e Cameron, che parlando ai Comuni ha detto che è ora di partecipare ai raid contro Daesh. Il premier britannico ha detto che occorre farlo perché non si può delegare la sicurezza agli altri e perché bisogna stare al fianco della Francia e che, dopo aver verificato di avere una maggioranza, chiederà al Parlamento britannico di esprimersi all’inizio della prossima settimana.
In un’intervista a France24 il premier turco Erdogan ha detto fondamentalmente tre cose: la guerra contro Daesh e l’uscita di scena di Bashar al Assad devono essere perseguite in parallelo; Russia e Iran non colpiscono e non fanno male a Daesh, solo le forze della coalizione (Turchia, Usa, Francia e adesso anche Stati Uniti) lo fanno in maniera seria; il premier turco annuncia anche che sono in corso operazioni congiunte con gli americani per sigillare la frontiera con la Siria.
A rispondere indirettamente a Erdogan ci ha pensato un capo militare del PKK, Celim Bayik, accusando Ankara di indebolire la lotta dei suoi gruppi armati e dell’YPG siriano contro l’ISIS. «Ad oggi siamo stati la forza più efficace nel contrastare Daesh e gli attacchi turchi in Kurdistan stanno distogliendo forze e indebolendo la nostra offensiva». Bayik ha anche detto che con il governo di Erdogan al momento sono interrotti tutti i canali di comunicazione.
In sintesi, dunque, oggi abbiamo gli Usa che bombardano contro Daesh e Assad, i russi che bombardano contro Daesh, ma anche contro gli altri gruppi ribelli, la Turchia che combatte contro Daesh e Assad, ma combatte i curdi. Francesi e presto britannici sono contro Daesh e possono – come gli Stati Uniti – chiudere un occhio sull’uscita di scena immediata di Assad. Cosa su cui i turchi, come ha detto oggi Erdogan, non sono disposti a cedere. E probabilmente nemmeno i curdi. Poi ci sono i sauditi, che combattono per procura contro Assad, finanziano Daesh e soprattutto al Nusra, ma dicono di essere contro. E l’Iran, che sostiene Assad, per le stesse ragioni per cui i sauditi lo combattono. E i curdi che sono alleati di fatto di Usa e Francia ma combattono Erdogan. Confusi? Anche tutti gli attori regionali e non.
Nei giorni scorsi sembrava che il processo di negoziazione con Assad e le forze che lo combattono potesse prendere il via. Russi e americani apparivano convergere sull’idea che il dittatore siriano dovesse avere un ruolo parziale nell’arrivo a un accordo (cosa a cui gli Usa si sono detti contrari per mesi). Quel processo, già complicato perché si trattava di mettersi d’accordo su chi, tra i gruppi ribelli, avrebbe potuto sedersi a un tavolo, era il frutto di uno sforzo diplomatico enorme. L’abbattimento dell’aereo russo da parte dell’aviazione turca ha reso tutto più complicato.
Ad esempio, americani e russi hanno ripreso ad accusarsi di non essere seri: Washington accusa Mosca di colpire tutti i ribelli, di non distinguere tra civili e militari e di non avere come focus la lotta a Daesh. Mosca e Damasco hanno replicato che le accuse sono infondate e che gli Usa prendono per vera la propaganda dei nemici di Assad.
Che succede adesso? Gli Usa sono concentrati sul colpire Daesh, ma senza un sostegno di terra (dei ribelli) è difficile riuscirci senza l’esercito di Assad. A sua volta lo Stato islamico guadagna in consensi proprio a partire dalla brutalità con la quale Damasco colpisce i suoi avversari. L’equazione è quindi complicata: senza alleati è difficile battere Daesh, ma se i potenziali alleati sono i ribelli, occorre difenderli dalle offensive del regime di Assad. Cosa che Mosca non tollererebbe e che farebbe saltare ogni ipotesi di colloqui di pace.
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