Mancano solo tre settimane alle elezioni politiche e in Spagna, a quanto sembra da un sondaggio diffuso ieri dal quotidiano El Pais, prevale l’incertezza. In testa, anche se solo con un piccolo distacco rispetto agli altri, popolari guidati da Rajoy con il 22,7%, seguiti da Ciudadanos di Albert Rivera, astro nascente della politica iberica che sembra aver, in tutto e per tutto, oscurato la stella di Pablo Iglesias leader di Podemos, non pervenuto sul podio dei primi tre partiti in testa ai sondaggi. Al terzo posto infatti nelle intenzioni di voto si piazzano i socialisti del Psoe di Pedro Sanchez con un 22,5%. Su Left n. 42 avevamo presentato un ritratto proprio di Rivera che vi riproponiamo qui.
Pablo Iglesias? Más corazón. Albert Rivera? Más calculadora. La sentenza arriva da Jordi Évole, giornalista della Sexta e moderatore del faccia a faccia tra i due leader emergenti. Quasi sei milioni di spagnoli sono rimasti davanti al televisore a seguire il confronto. Podemos contro Ciudadanos. «Rivera se está comiendo a Iglesias», se lo sta mangiando, è il commento più gettonato sui social network. Camicia bianca, jeans, faccia pulita, volto rassicurante, parla chiaro e diretto. Un animale mediatico. Sicuro di sé, va sempre a braccio, anche ai comizi. Albert Rivera è il politico del momento in Spagna. Onnipresente in tv. «Abbiamo proposte per migliorare e riformare il Paese, senza urla e promesse irrealizzabili. Ciudadanos è un partito capace di governare, senza il sostegno dei poteri forti e senza privilegi», va ripetendo da una trasmissione all’altra.
Avvocato, nato a Barcellona 36 anni fa, figlio di commercianti, ottimo inglese, nel suo profilo Linkedin ammette di “non essere perfetto” ma di voler “cambiare le cose e lasciare il segno”. Vuole aprire una nuova epoca «dove la distinzione tradizionale fra le due Spagne, la rossa e la blu, scompaia» così come «le posizioni conflittuali associate a questa idea». Un «cambio sensato» – come da titolo del suo recente libro – contro l’immobilismo di Pp e Psoe, ma anche contro l’estremismo di Podemos. Laureato col massimo dei voti nel prestigioso ateneo privato di Esade, nel 2001 Rivera ha vinto il Campionato interuniversitario di dibattito – contro 62 squadre dalle università di tutto il Paese – con le sue oggi proverbiali doti di retorica. Erasmus in Finlandia e master in marketing politico a Washington, dal 2002 al 2006 ha lavorato quattro anni alla Caixa, il colosso bancario catalano.
Rivera incarna l’immagine di un movimento di giovani con un curriculum brillante. Lo dipingono come una persona auto esigente e disciplinata, doti che avrebbe appreso da adolescente durante i ferrei allenamenti in piscina. Sì, perché Rivera a 16 anni è stato anche campione nazionale di nuoto e ha giocato a livello agonistico a waterpolo. Magro, spalle larghe, ha sfoggiato il suo fisico, di cui certo non si vergogna, nel suo esordio in politica nel 2006, alle prime elezioni catalane a cui il partito Ciutadanos si presentò: un manifesto elettorale lo ritraeva completamente nudo per trasmettere “trasparenza e la semplicità”, sotto lo slogan «è nato il tuo partito, ci importi solo tu».
Fino al 2006, gli elettori catalani erano abituati allo scontro essenzialmente fra due partiti: Convèrgencia i Unió, di centrodestra, e i socialisti di centrosinistra. Al vecchio bipartitismo si contrappose Ciutadans de Catalunya (Cittadini catalani) che della terzietà fra i contendenti faceva bandiera, e che riuscì a ottenere quasi 90mila voti, e tre seggi nel Parlamento di Barcellona, con le sue posizioni anti indipendentiste e filo-centraliste. L’arancione, il colore del partito. Albert Rivera, allora 27enne, intraprese l’intera campagna elettorale tuonando contro la “casta”.
Da allora Ciutadans (nella sua versione in spagnolo “Ciudadanos, partido de la ciudadanía”) non ha fatto che crescere: all’inizio del 2013 aveva appena 2mila iscritti, oggi dispone di un numero di militanti 14 volte superiore (quasi 28mila, dichiarano). Alle ultime europee col 3,2 per cento, ha ottenuto 2 europarlamentari che siedono a Bruxelles tra le fila dell’Alde, il gruppo dei Liberal-Riformisti. Nelle amministrative di maggio il grande salto su scala nazionale sparigliando le carte di Pp, Psoe e Podemos.
Ciudadanos è Albert Rivera. E lui è terribilmente bravo: il messaggio che vende sul partito arancione (Pantone 1585C, per la precisione) è solido e credibile, qualsiasi proposta o posizione appare come ragionevole e sensata, mai ideologica: «Le ideologie ci sono – dichiara in un’intervista – ma le etichette sono state diluite. Mi considero liberale, credo nell’economia di mercato, ma ho una sensibilità sociale perché difendo l’istruzione pubblica e voglio che gli anziani abbiano pensioni più alte». Le sue posizioni, le definisce, «moderate». Il suo libro preferito? Il fattore umano di John Carlin.
Piace il suo stile di vita, umile e austero. Gira principalmente coi mezzi pubblici, senza scorta, patito di moto a volte raggiunge il Parlamento con la sua Yamaha 1000, tifosissimo del Barcellona ma crede nella filosofia di Diego Simeone, carismatico allenatore dell’Atletico Madrid: «Si deve lottare, partita dopo partita». Piedi per terra, sempre concentrati e determinati. Anima e corpo alla politica. Albert vive in affitto a 800 euro al mese, divorziato, vede la figlia Daniela, 4 anni, una volta alla settimana. «So di rappresentare il nuovo – dice di sé con spavalderia – ma ciò non mi incute timore. Sono il garante di una rigenerazione e sono qui per migliorare la condizione della gente contro un capitalismo clientelare e corrotto». Nel suo programma si dichiara di “centro-sinistra”, il che è già quanto meno curioso, dato che Rivera, dal 2002 fino al 2006, ha militato fra i giovani del Partito Popolare. Lui stesso ha affermato di voler ricalcare le orme di altri grandi leader conservatori: «Mi piace ciò che ha fatto Suárez, durante il periodo della Transizione, González negli anni 80 o Aznar nel ’90», dichiara nel suo classico stile cerchiobottista.
Rivera si dichiara di “centro-sinistra”, il che è quanto meno curioso, dato che dal 2002 fino al 2006 ha militato fra i giovani del Partito Popolare
Il giovane Albert ha in mente un programma economico liberista nel quale non disdegna le privatizzazioni, è contro le impopolari (per i ricchi) tasse patrimoniali o sulle eredità, difende le banche (ma critica gli strumenti finanziari meno trasparenti), considera sbagliato il reddito minino e propone sgravi fiscali per le imprese. Non a caso, a sinistra, Rivera viene definito «il principe azzurro della Borsa» e viene accusato di avere il sostegno dei poteri forti e dei grandi industriali del Paese. In campo sociale, a parole, è moderatamente progressista. Contrario alla legge sull’aborto, si è schierato contro la sanità agli immigrati senza permesso di soggiorno: «Così si fa in tutta Europa».
Sufficientemente malleabile e intelligente da saper cambiare posizione per evitare quelle più controverse, come platealmente ha fatto sul matrimonio gay, dapprima moderatamente avversato, e poi accettato. Considera la prostituzione una professione come le altre, ma dato che questa sortita ha suscitato un forte dibattito, l’idea è stata prontamente accantonata. Stessa sorte toccata all’idea di legalizzare le droghe leggere. Di nessuna delle due c’è traccia nel programma del partito.
Rivera utilizza molto, e bene, il suo profilo twitter, pare ci tenga a gestirlo personalmente. Pochi giorni fa, ha lanciato l’hashtag #somoselnuevocentro: «Siamo il nuovo centro perché sono più i cittadini con voglia di cambiamento che quelli con paura», ha scritto.
Nel febbraio 2014 è uscito il suo libro Juntos Podemos, subito dopo il debutto di Iglesias. Lo hanno accusato di copiare nome e idee. Si è difeso dicendo che il testo era precedente alla fondazione del partito. Alcuni punti programmatici sono effettivamente identici: maggiore trasparenza e lotta alla “casta”, ai costi della politica e alla corruzione del sistema. Anche Rivera è per una «transizione democratica» che deve passare, in primis, per una nuova legge elettorale, un piano nazionale sull’istruzione e la riforma della giustizia.
Ecco il “Podemos di centro” auspicato dagli imprenditori spagnoli già nel 2014. Con il 18 per cento alle elezioni catalane, dopo le politiche potrebbe governare con i popolari
Cita costantemente una frase di Victor Hugo: «Non c’è niente di più meraviglioso di un’idea che giunge al momento giusto». Nei suoi discorsi, a volte, è spiazzante riuscendo a passare dalla difesa di quest’Europa e dell’austerity all’elogio di Pepe Mujica, ex presidente-guerrigliero dell’Uruguay. È scaltro, un populista con toni moderni e certo non scomodo all’establishment che lo sta pompando oltre modo.
Ecco il “Podemos di centro”, il partito auspicato dagli imprenditori spagnoli nel 2014 quando l’auge della creatura di Iglesias si faceva minacciosa. Nei sondaggi Ciudadanos non si ferma più. E dopo essere arrivato secondo alle elezioni catalane di settembre con il 18 per cento, sarà l’ago della bilancia a Madrid dopo le elezioni del 20 dicembre. Qualcuno ipotizza possa arrivare come seconda forza, sopra il Psoe, e allearsi con il Partito popolare per un nuovo governo di destra in Spagna. Perché votare gli arancioni alle prossime elezioni? Lui, forte della grande ascesa, risponde: «Innanzitutto perché non abbiamo mai governato e non siamo i responsabili di questa situazione, secondo perché ci sono partiti che si presentano come il nuovo ma promettono cose irrealizzabili». Agli spagnoli scegliere il volto del cambiamento: Iglesias o Rivera?