Il paradosso è che, come conferma il vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia, ormai si arrivi ad indagare se stessi: i parlamentari decidono di aprire una serie di audizioni per capire cosa sta succedendo nel movimento antimafia che negli ultimi anni vive un lento e inesorabile declino di credibilità che di sicuro non rende felice nessuno. Mafiosi a parte, ovviamente. E così mentre si cerca di capire come è potuto succedere che in Sicilia scoppi il bubbone della gestione dei beni confiscati (con la giudice Saguto, intercettata, in preda a deliri di onnipotenza, senza che nessuno se ne accorga).
E proprio sui fatti siciliani e sul processo romano di “Mafia Capitale” ha acceso la luce l’addio a Libera di Franco La Torre, storico componente del movimento nonché figlio di quel Pio La Torre che ebbe l’intuizione di una legge (quella della confisca e riuso sociale dei beni mafiosi) che gli costò la vita. E La Torre, senza mezzi termini e con molta lucidità, ha parlato di «inadeguatezza della classe dirigente» riferendosi a Libera in tutte le sue ramificazioni. Perché se l’antimafia è un cosa seria allora è utile che il movimento sia plurale, con una classe dirigente all’altezza e al passo con i tempi e soprattutto trasparenza.
Il magistrato calabrese Nicola Gratteri (uno che l’antimafia la vive al fronte tutti i giorni, mica nei palazzi) ha dato una soluzione che se a prima vista può sembrare banale in realtà sarebbe sicuramente chiarificatrice: togliete i soldi all’antimafia, quei soldi dateli alle scuole e sarà facile capire chi c’è per passione e chi per mestiere. E sarebbe un’ottima idea. Già.