Se fosse una guerra le chiamerebbero “vittime collaterali” e forse troverebbero anche il modo per lasciarci intendere che stia nel computo naturale delle cose: l’anziano suicida dopo avere perso tutti i risparmi di una vita è solo la punta di un danno sociale che difficilmente potrà essere salvato e messo a bilancio. La banca, con il commercialista e il dentista e il parroco e il dottore, era il luogo dove difendere i propri soldi dalla propria ignoranza e avventatezza: la gestione del risparmio è solo il passo successivo alla “cura” che rimane il primo motivo per cui i nostri padri e i nostri nonni decidevano di affidarsi al direttore dell’istituto tal dei tali e di affidarsi a quello sportellista “che era una persona educata e gentile”.
Il ruolo sociale del “tutore del risparmio” è molto di più del ruolo meramente finanziario che ci si ostina ad affibbiare agli istituti di credito: un conto corrente è la stampella psicologica (più che economica) che ogni famiglia si costruisce per rassicurarsi di fronte agli imprevisti della vita, il welfare privato che ogni genitore sente l’aspirazione di rimpinguare per se stesso e i propri figli. Molti dei soldi che si sono polverizzati con un clic in questi ultimi giorni non sono semplicemente soldi a forma di soldi: sono la prova di una vita misurata, attenta, responsabile e previdente.
Mi ricordo, fin da bambino, la fierezza con cui i nonni andavano a versare lo stipendio, con la giacca buona e la gran cassa dell’aver fatto il proprio dovere e, di contro, l’atteggiamento quasi furtivo con cui ci si avvicinava ad un prelievo non previsto e ad una spesa capitata. Aprire un conto corrente, insomma, significava (e significa ancora, per molti) aprire una linea di credito alla proprio autostima, accettare la sfida di quantificare il proprio impegno e la propria morigeratezza.
Non ci vuole un scienziato o un fine indagatore per capire che molti degli “investitori” rimasti in mutande hanno scelto di mettere i propri soldi lì dove erano stati consigliati di farlo. È folle pensare che un pensionato possa decidere, sua sponte, di accantonare i resti di una vita in un qualsiasi fondo di investimento a meno che non sia stato male informato, poco informato o per niente. Per questo credo che il danno più grande che questa vicenda abbia portato sia soprattutto sociale. Niente a che vedere con il soldo in sé ma soprattutto lo sbriciolamento di un’istituzione che perde credibilità. Un’altra che va ad aggiungersi alla folta schiera di personaggi che rendono la vita là fuori una guerra per svicolare dai furbi. E la fiducia non si ripristina per decreto. La fiducia non si distribuisce al bancomat.