Il Paese al voto dopo un abbuffata televisiva. Per la prima volta i candidati in lizza sono quattro. Con Rajoy che, se vorrà continuare a governare, dovrà cercare alleati

La campagna per le elezioni politiche spagnole del prossimo 20 dicembre si presenta come una delle più decisive e imprevedibili della storia della democrazia del Paese e dovrà assolvere al delicato compito di convincere l’alta percentuale di indecisi dell’ultima ora, che superano il 40% dell’elettorato. Per la prima volta, si moltiplica il numero di attori di rilievo e l’interesse per il profilo personale dei candidati s’impone sull’appartenenza a una formazione politica piuttosto che all’altra.

Il Partito popolare (Pp), stando all’ultimo sondaggio del Centro di ricerca sociologica, è in testa con il 28,6% dei voti, ma se vuole mantenere la poltrona di premier, Mariano Rajoy dovrà scendere a patti con altre formazioni. I socialisti del Psoe restano al secondo posto (20,8%), continuando a perdere terreno a favore di Ciudadanos, che con il 19% aspira al sorpasso. Podemos, la formazione guidata da Pablo Iglesias, si ferma al 9,1%, ma il risultato passa al 15,7% se si sommano i consensi dei movimenti con cui si è alleato in alcune zone. In Catalogna, per esempio, En Comú Podem – la coalizione formata da Podemos, Esquerra unida i alternativa, i verdi e la piattaforma del sindaco Ada Colau, Barcelona en Comú – potrebbe essere il partito che raccoglie il maggior numero di voti.

Le performance televisive dei candidati per la prima volta hanno avuto la meglio sui comizi di piazza. Nelle ultime settimane, i telespettatori hanno visto Pablo Iglesias suonare la chitarra, l’economista Pedro Sánchez, leader del Psoe, giocare a ping pong, e Albert Rivera, candidato di Ciudadanos, andare in moto. Mentre l’attuale presidente del governo, il popolare Rajoy, cucinava delle cozze in prima serata per la televisione pubblica e rivelava come ha conquistato il cuore di sua moglie.

Più tv, niente bagni di folla e spese ridotte all’osso per i tour elettorali, sostituiti da eventi più ristretti. «Siamo in campagna elettorale da circa due anni», spiega il sociologo Joan Navarro, specializzato in comunicazione politica. «Con quattro candidati di rilievo, la sovraesposizione mediatica e una enorme pressione davanti al crescente numero di media, l’elettore è iperstimolato, ma il dibattito faccia a faccia sarà cruciale». Per il vicepresidente del gruppo di consulenza in comunicazione Llorente&Cuenca, il pubblico dà per scontate promesse e programmi: la considerazione prioritaria riguarda la solidità del candidato e se le sue parole sono orientate a soddisfare le esigenze personali dell’elettore. «È così che si costruisce la fiducia – spiega Navarro -. Nelle tornate elettorali precedenti non era un grosso problema che ciò non avvenisse, perché col bipartitismo l’elettore poteva optare per il voto “punitivo” nei confronti di chi, a suo avviso, aveva governato male. Da quest’anno, con il quadro politico più frammentato, non è più così».


 

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